“Raro cade chi ben cammina” (Leonardo da Vinci). Siamo quasi giunti alla fine della seconda tappa del Cammino Sinodale Diocesano iniziato con la celebrazione del 3 febbraio e proseguito con la prima Assemblea Sinodale Diocesana il 18 febbraio. Ora si stanno svolgendo le assemblee vicariali, anch’esse dedicate al “vedere” la situazione (o meglio “le situazioni”) più significative per descrivere i due aspetti della ricerca in atto: la fede adulta e la dimensione missionaria della chiesa diocesana. Può sembrare complicato; ricordo che, dopo la visita pastorale compiuta dal vescovo Gianfranco Agostino e alla luce dell’Esortazione di Papa Francesco Evangelii Gaudium sono stati definiti due grandi argomenti da approfondire nella pastorale diocesana: la sua apertura all’evangelizzazione e la cura per una solida maturazione della fede.
Costruire una visione comune
Immaginiamo il Cammino Sinodale come un muoversi nelle esperienze di vita della diocesi per vedere (questa è appunto la prima fase) le situazioni che dicono di una fede adulta e di una chiesa missionaria e anche interpellano o chiedono attenzione, oppure mostrano aspetti e prospettive diverse, relativamente ai medesimi argomenti. Un Cammino che non è analisi sociologica o ricerca di mercato ma partecipazione, condivisione, costruzione di una visione comune, illuminata dallo Spirito che “fa nuove tutte le cose”, di collaborazione e corresponsabilità con il Vescovo nel pensare alla nostra Chiesa diocesana.
Possiamo dunque cercare di vedere a che punto siamo in questa esperienza di Cammino Sinodale. Se è vero che “il cammino si costruisce camminando” due tappe dicono già di un inizio, che è sempre la parte più difficile, e di una realizzazione già avviata. Se sinodalità significa fare “strada insieme”, allora l’avere condiviso tre appuntamenti con almeno cinquecento persone dice già di un considerevole “insieme”. Se Cammino Sinodale significa cammino di popolo, in tal caso, questo “insieme” sarebbe una parte minoritaria e dovrebbe impegnarsi per condividere il più possibile la propria esperienza con gli altri, in modo da farla davvero divenire esperienza di popolo. Spero che questo breve diario sia utile almeno in tal senso, perché mi sembra un punto cruciale per evitare che le mete raggiunte e i frutti raccolti restino patrimonio solo dei partecipanti alle assemblee e dei responsabili delle comunità.
La meta condivisa e le sfumature del Regno
Se poi sinodalità significa anche percorrere strade comuni verso una meta condivisa e non solo stare tutti nella medesima carreggiata, allora lo sforzo di interazione e di reciproca comprensione dovrebbe essere ancora maggiore per poter leggere al meglio la storia che viviamo e vedere con chiarezza le tante sfumature del Regno che è presente tra noi.
Da una parte comprendo che i tempi sarebbero necessariamente dilatati e si perderebbe l’agilità del procedere; dall’altra ho ancora presente che un “metodo (altro sinonimo di “via” o “cammino”) non è valido se non include la complessità. Abbiamo bisogno di un metodo che ci aiuti a pensare la complessità del reale, invece di dissolverla nella semplificazione e di mutilare la realtà” (E. Morin filosofo francese contemporaneo). Come farsi carico della complessità? Ne potremo riparlare. Continuiamo intanto in questo cammino da “Discepoli di Gesù verso un nuovo stile di Chiesa”.
(Umberto De Conto)