“Noi, oggi, siamo chiamati con forza e decisione a credere che la vita ha senso e valore, e che in essa si genera una risposta autentica alle grandi speranze di ogni persona e dei popoli tutti”. E’ un invito – quello rivolto dal Vescovo nell’omelia della messa “in nocte” di Natale, celebrata in cattedrale il 24 dicembre – a riconoscere lo stile di Dio svelato nel segno di Betlemme, a non cedere allo sconforto, alla rassegnazione e all’apatia, ma a muoverci nella fedeltà alla nostra chiamata affidandoci con fiducia alle promesse di Dio: “è così che si compiono in noi cose grandi”.
Non hanno prenotato l’albergo e non hanno nemmeno parenti e amici su cui contare, Maria e Giuseppe, in viaggio dalla Galilea alla Giudea, da Nazaret a Betlemme, per il censimento voluto da Cesare Augusto. In cammino perché costretti, sembrano apparentemente in balìa delle vicende grandi della storia e dagli avvenimenti della loro storia famigliare, scanditi dall’attesa di quel bambino che deve arrivare. “Costretti, sorpresi, senza particolare accoglienza. Come gran parte dell’umanità nei suoi cammini di sempre, anche prima della pandemia. Come noi tutti in questo tempo, a ben vedere, a correre dietro agli eventi, a non poter decidere, prenotare, pianificare. È un problema vero per un mondo abituato a prevedere e a organizzare” ha sottolineato il Vescovo. “Eppure, troviamo Giuseppe e Maria al loro posto, e al posto giusto. Non è una decisione loro, ma la loro esistenza ha un senso. Si sono mossi in base a una fiducia profonda, incondizionata, e la loro storia si snoda sicura all’interno dell’orizzonte delle grandi vicende del tempo e con la meta – a tutti ancora sconosciuta, ma reale e decisiva – della croce e della risurrezione del Figlio”.
“Si compirono per lei i giorni del parto”. “Le attese, gli snodi importanti della vita, si compiono. Giungono a compimento – ha ricordato il Vescovo -. Esse si realizzano e danno luogo a nuovi percorsi, a nuove strade, a sviluppi della storia che possono aprire a prospettive inedite ed inaudite. L’obbedienza alle vicende personali, la vita quotidiana negli scenari della grande storia sono gravidi di prospettive di vita di cui non sappiamo ancora cogliere del tutto il senso, valutare il valore, scorgere il significato. Ma anche per noi, anche in questo tempo, anche nelle prove del tempo presente si può generare il nuovo, il giusto, il santo”.
“Anche i motivi del nostro essere al mondo giungono a compimento. Maturano e danno luogo a nuova vita. A nuove relazioni, a compiti e realizzazioni di bene vitali e necessarie, anche se non pianificate e non sotto il nostro controllo. Non possiamo, non abbiamo il diritto di cedere allo sconforto, alla rassegnazione e all’apatia – ha ricordato mons. Tomasi -. Se ci muoviamo nella fedeltà alla nostra chiamata e ci affidiamo con fiducia alle promesse di Dio, si compiono in noi cose grandi”, che non avvengono perché noi le abbiamo decise e non hanno in noi la loro origine, ma sono “profondamente «nostre», perché corrispondono alle aspirazioni più profonde del nostro animo e hanno il loro fondamento nella relazione vitale con il Dio onnipotente e misericordioso”.
“In quel segno di Betlemme – ha spiegato il Vescovo – ci viene svelato lo stile di Dio: la semplice, banale, troppo spesso cruda esistenza viene assunta e trasfigurata dall’amore di Dio, dall’amore che illumina la notte e il buio di ogni dramma del vivere. La nostra vita mortale non si salva in una vertiginosa fuga verso una impossibile successione indefinita di giorni terreni, bensì nell’umile, ma forte e coraggiosa accoglienza delle ragioni dell’amore, della relazione, dell’accoglienza e della cura, nelle situazioni che ci è dato di sperimentare giorno dopo giorno. Se sappiamo accogliere il bambino al compimento dei giorni del parto, possiamo generare nuova vita: relazioni pacificate, istituzioni economiche e politiche autenticamente umane, relazioni umane autentiche e calde. E vita eterna, che è dono dell’amore: dell’incarnazione, della croce, della risurrezione”.
Dopo il silenzio di questi giorni strani e difficili – si è chiesto il Vescovo -, una volta compiuti anche i giorni di una ripresa, vicina o lontana che sia, di un vaccino, di ritmi meno concitati, torneremo a suoni di odio, di violenza, di ingiustizia? O non sapremo piuttosto – e finalmente – accogliere con semplicità ma senza riserve il dono del bambino che è nato per noi? Se ci è stato donato un figlio – a noi che da soli non riusciamo a fare nulla – significa che abbiamo il dono di accogliere vita e di generarla a nostra volta. Ma dovrà essere visibile e riconoscibile: questo nostro mondo dovrà diventare più bello, più ospitale, più giusto, più santo. E impareremo allora “a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà” (1 Tt 2, 12).
Con sobrietà: saremo presenti a noi stessi, e vivremo ogni esperienza consapevoli di quanto ci accade, nella gioia di quanto ci è concesso piuttosto che nell’amareggiato rimpianto di tutto ciò che non ci è possibile. Solo in questo atteggiamento sapremo superare le barriere, cogliere ogni occasione di bene che ci è concessa, superare l’accidia e l’inerzia, essere persone veramente responsabili.
Con giustizia: sapremo dare a tutti e a tutto il posto che loro spetta, e lo daremo anche a noi stessi, riuscendo a godere del nostro vero bene che si realizza solamente in relazione con il vero bene degli altri e di ogni essere creato.
E con pietà: che è lo sguardo di Dio sull’umanità, sul mondo, sulla storia, lo sguardo di Cristo su Gerusalemme. Uno sguardo dolente per la sofferenza che non viene rimossa ma consolata, per il pianto che viene asciugato, per il grido cui si lascia spazio, senza ignorarlo o tacitarlo. Questa pietà è un atteggiamento fondamentale ai nostri giorni. Ci smuove il cuore, ci insegna la cura reciproca, ci fa stare accanto a chi soffre per donare un po’ di luce e di speranza. Ci conduce per mano a stare con chi è più colpito dal peso di questo contagio, accanto a chi fa fatica a vedere prospettive buone di futuro. Anche così – ha concluso il Vescovo -, anche per mezzo nostro, Dio continua a generare speranza e vita nuova”.