Nella terza domenica di Avvento il vescovo Michele Tomasi ha presieduto in cattedrale la celebrazione eucaristica alla quale hanno preso parte rappresentanti e associati delle tre associazioni che operano nel campo delle persone con disabilità della vista: “UICI” Unione italiana ciechi e ipovedenti, “UNIOVOC” (Unione nazionale italiana volontari pro ciechi) e “MAC” (Movimento apostolico ciechi), in occasione della memoria liturgica di Santa Lucia, patrona delle persone cieche.
Il Vescovo, nell’omelia, ha presentato la figura di Giovanni Battista a partire dalle sue risposte a chi gli chiedeva chi fosse. “Non sono il Cristo” risponde Giovanni a chi lo interroga. “Nel momento in cui egli dice chi lui non è, definisce la sua missione e la sua identità più profonda – ha sottolineato mons. Tomasi -. Lui sa di non essere il Messia, o Elia, non è nemmeno un profeta. In quel suo “no”, “non sono io” ci viene donata la vera grandezza della testimonianza e della vita del Battista. “Io sono voce di uno che grida nel deserto”. Io sono solo voce, e grido di prepararsi al suo arrivo, di preparare vie difficili, vie nel deserto, là dove sembra improponibile trovare e ancor meno tracciare una via – ha aggiunto il Vescovo -. Una voce che grida che il Messia viene ed è completamente nuovo, del tutto sproporzionato rispetto ad ogni rappresentazione e a qualsiasi idea, impossibile da controllare, e solamente da accogliere. In questa prospettiva Giovanni riesce a definirsi proprio in quanto ci dice chi egli non è. E non perché lui non abbia valore, o non sia un grande uomo di Dio, anzi: egli è il più grande tra i nati di donna (Lc 7,28). È che la vera grandezza di ogni uomo, di ogni donna, di ciascuno di noi non sta nelle nostre capacità, in ciò che facciamo, otteniamo, costruiamo. Noi veniamo definiti in piena verità dalla nostra relazione con lui, con il Signore che deve venire e che viene”.
E questo “non perché non valiamo nulla, ma perché il mistero che siamo, la domanda che la nostra stessa esistenza pone come grido nel deserto, trova risposta in pienezza solamente in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Riusciamo a dire la novità piena della nostra vita quando riusciamo a riconoscere e a testimoniare che non occupiamo noi il centro, che non siamo noi signori e padroni della vita. Quando cerchiamo di capire la nostra vita, e quindi di rispondere alla domanda su chi siamo davvero, non dobbiamo cercare in noi, in quanto siamo stati capaci di costruire, in risultati organizzativi, in progetti individuali o collettivi, ma siamo invitati piuttosto a guardare alla novità di colui che “è già in mezzo a voi e che voi non conoscete”. Proprio in quel momento, assieme a Giovanni Battista contribuiamo a tracciare la via e questa si apre, inaspettata e meravigliosa, e ci porta alla pienezza di vita, alla gioia”.
Con il Signore, anche nel deserto delle esperienze difficili del nostro tempo “potremo sperimentare consolazione e pace”. In tempi di prova – ha sottolineato il Vescovo – può sembrare un vuoto ottimismo parlare di speranza. Come potrebbe sembrare indelicato parlare del Signore come «luce» ai nostri fratelli e sorelle ipovedenti e ciechi. Ma la prospettiva è segnata: Chi siamo veramente è definito solo ed unicamente dall’amore a cui ci rendiamo disponibili, cui facciamo spazio nelle nostre vite, che siamo in grado di accettare e di ridonare a nostra volta. Nell’abbraccio di questo amore, potremo allora tutti e in ogni situazione osare di vivere seguendo l’esortazione dell’apostolo Paolo ai cristiani di Tessalonica: Siate sempre lieti”.
Osare la letizia anche nella prova. “E’ possibile, soprattutto quanto ci sentiamo più fragili e vulnerabili – ha ricordato il Vescovo -. Dovremo però imparare a coglierne il vero fondamento. Non occorre fare finta che vada tutto bene, non è necessario inventare chissà che cosa. La vita riserva tante possibilità di bene, di amore, di relazioni riuscite. Semplici. Vere. La vita è un dono grande, sempre nuovo, inesauribile, aperto all’eterno. E ciascuno è voluto, sostenuto, amato da Dio”.
E allora sarà possibile una vita di preghiera, che significa “essere in relazione con il Signore in ogni cosa che facciamo, e così, nei fatti, riusciremo in tutto a rendere grazie, a essere eucaristici”. Infine, l’invito del Vescovo a “cercare la letizia possibile. Oggi”. “Anche attraverso un grazie detto con semplicità e gentilezza puoi dare bellezza alla giornata di chi incontri, sostenerne la speranza, attivare energie nuove. Un servizio importante questo, in giorni tristi”.
E se “ci concediamo di accettare in dono letizia, essa ci sorprenderà”, dandoci la certezza che “non siamo soli, che siamo amati. Un futuro che si apre. Una speranza che non delude. Potremo credere proprio nei nostri tempi – che sono difficili e che viviamo come un peso grande, quasi insopportabile – che si apre qui ed ora un “anno di grazia del Signore”.