Cura, servizio, tenerezza, gentilezza: le parole buone per questo tempo rese feconde dalla Parola fatta carne

E il Verbo si fece carne

e venne ad abitare in mezzo a noi”

“Guardando a Gesù, al Verbo incarnato, ogni persona umana scopre di poter trovare veramente se stessa solamente immergendosi nel mistero del Dio fatto uomo, e che solamente guardando a lui può vedere se stessa come potrebbe essere, se solo riuscisse ad arrendersi completamente all’amore, e sviluppare tutte le sue potenzialità di bene. Divento «umano» quando allargo il mio orizzonte al «divino»”: questa la riflessione del vescovo Michele nella messa del giorno di Natale presieduta in cattedrale, commentando l’inizio del Vangelo secondo Giovanni, nel quale l’evangelista descrive e tenta di comunicare l’esperienza dell’incontro con la persona di Gesù Cristo, come egli lo ha conosciuto, prima e dopo la sua croce e risurrezione. È un canto, una riflessione sapiente, una poesia, che scaturisce dall’amore, dall’esperienza di scoprirsi amato realmente, senza riserve” ha sottolineato il Vescovo. A concelebrare con il Vescovo, nella messa in diretta streaming, anche mons. Paolo Magnani, vescovo emerito di Treviso, e numerosi sacerdoti.

“Il Verbo si fa carne, la Parola eterna di Dio, la sua forza creatrice si fa concretamente parte della nostra storia, abita tra di noi, pianta la tenda tra le nostre case, interagisce quotidianamente con le nostre esistenze – ha ricordato il Vescovo -. La Parola diventa carne, e se noi lo riconosciamo, le nostre azioni, le nostre scelte e gli stili di vita parleranno ai cuori e alle menti e comunicheranno Parola di Dio. Così, nella contemplazione del mistero del Natale scopriamo come siamo invitati dal Signore a un ascolto che si trasformi in vita”.

“E se è il Verbo, se è la Parola a tessere la trama profonda della nostra storia, potremo anche attingere a questa stessa Parola per nutrire, purificare e rendere vitali e feconde le nostre parole, quelle che ci diciamo gli uni gli altri, e che possono cambiare la vita – ha aggiunto mons. Tomasi -. Davanti al bimbo nella mangiatoia di Betlemme, provo a dare ascolto nuovo ad alcune parole buone per il nostro tempo.

  • Cura. Il “messaggero di buone notizie” che annuncia pace e salvezza annuncia che il Signore si prende cura del suo popolo. Egli ci assicura che Dio guarisce perché il popolo gli sta a cuore e lo mette in condizione di guardare nuovamente alla vita con speranza, gli dà tutti i mezzi per vivere in pienezza. La salvezza passa per la cura, che è sia preoccupazione, sia capacità di ridare forza e coraggio. Abbiamo riscoperto con immediata evidenza quanto sia importante questa dimensione in questo nostro momento di pandemia, in cui le professioni della cura sanitaria e dell’assistenza ci sono nuovamente risultate decisive. Ma di quanta cura hanno bisogno la politica, l’economia, la cultura, affinché possano tornare ad essere pienamente umane. La cura definitiva e radicale che il Signore si prende di noi sarà sulla croce, e la guarigione la risurrezione.
  • Servizio. Nel Signore Gesù tutto il potere e la potenza possibili si concentrano nel servizio e nel dono di sé. Lui che detiene tutta la forza e il potere, si fa servo e ci mostra la strada nel corso di tutta la sua vita, tra la mangiatoia e la croce. Egli mostra la gloria del Padre, e “tutto sostiene con la sua parola potente” (Eb 1, 3). L’unica potenza che veramente è per il bene dell’uomo e della storia è la forza che si mette a servizio degli altri. È forza, energia dello Spirito creatore, che si esprime nella ricerca del bene possibile di tutti. Non cerca in primo luogo l’interesse proprio, perché sa che questo è raggiunto al meglio se ciascuno può svilupparsi liberamente, e contribuire così meglio al bene di tutti. “A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1, 12): il servizio è vera forma di potere, che in quanto figli ci fa fratelli e sorelle, tutti. Che potere meraviglioso ci viene messo a disposizione.
  • Tenerezza. “È l’amore che si fa vicino e concreto. È un movimento che parte dal cuore e arriva agli occhi, alle orecchie, alle mani. […] La tenerezza è la strada che hanno percorso gli uomini e le donne più coraggiosi e forti»” (Fratelli tutti, 194). Nella nostra civiltà dell’efficienza e nel mito della persona di successo avevamo perso per strada questa dimensione, che però è necessaria per sviluppare le vere ragioni dell’umano. La vera forza non si manifesta nell’arbitrio, bensì nella tenerezza, che è il modo in cui Dio si fa presente fin dalla nascita di Cristo, l’insegnamento autentico della notte di Natale.
  • Gentilezza. Non è stato profondamente gentile Giuseppe nei confronti di Maria, non viene anche da là la luce del presepio? Non ci fa forse bene al cuore essere visti ed accolti con delicatezza e rispetto, in incontri che rivelano nobiltà d’animo e rialzano chi è nella prova?

E se si va poi anche al di là delle relazioni interpersonali, e la gentilezza “si fa cultura in una società, trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti” (Fratelli tutti, 224).

Prende così forma una vicinanza autentica, e impareremo «tocchi» nuovi, carezze della voce, degli sguardi, abbracci dell’anima. Quante altre parole potrebbero assumere di nuovo significati buoni e generativi, quante parole potremo ancora purificare e rinnovare. Se prenderemo sul serio il Natale – ha concluso il vescovo Michele -, e ci lasceremo trasformare dalla forza dell’incarnazione, potremo ancora parlare a questo nostro mondo, a questo tempo confuso e smarrito, offrendo parole che avranno davvero il sapore della speranza e della vita”.