Discepoli di Gesù, verso un nuovo stile di Chiesa

In millecinquecento all’apertura del nuovo anno pastorale, che ha dato inizio al “Cammino sinodale”

Il tempio di San Nicolò ha ospitato venerdì 23 settembre la celebrazione di avvio del nuovo anno pastorale diocesano. Un appuntamento al quale hanno preso parte oltre 1.500 persone, mosse, come ha ricordato il Vescovo, “dal desiderio di essere una chiesa viva, che non cessa di cercare la fedeltà al suo Signore, al vangelo e alla storia degli «uomini che Dio ama»”. Sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose, persone consacrate, laici operatori pastorali, tutti i volti e le vocazioni della nostra chiesa diocesana riuniti insieme per dare avvio, insieme al vescovo Gianfranco Agostino, a quel “cammino sinodale” già annunciato lo scorso giugno, al termine dell’anno pastorale 2015-2016.
Un passaggio significativo del nostro cammino di chiesa diocesana. E proprio per questo, ha ricordato il Vescovo, “abbiamo bisogno che il nostro sguardo si fissi con maggior attenzione, quasi in una penetrante e appassionata concentrazione, sulla persona di Cristo. Quel Cristo che, come abbiamo avuto modo di meglio comprendere nel corso del presente anno giubilare, «è il volto della misericordia del Padre» (Misericordiae vultus 1). Quel Cristo che non dovremmo stancarci di conoscere e riconoscere, di ricollocare al centro, di accogliere sempre nuovamente come il punto capitale, la “pietra d’angolo”, l’evento determinante del nostro essere cristiani”.
Conoscere Gesù di Nazaret
Ad aiutare i presenti a riflettere su che cosa significa “conoscere Gesù di Nazaret” è stato invitato Giovanni Grandi, docente di Filosofia all’Università di Padova e presidente dell’Azione cattolica di Trieste. Grandi ha preso in considerazione l’espressione iniziale del Vangelo di Marco, il testo che accompagnerà il percorso diocesano del “Vangelo nelle case”: “Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio”. E ha sviluppato il tema del desiderio di incontrare il Signore, che alcuni greci affidano ai discepoli: “Signore, vogliamo vedere Gesù”. Sia che ci identifichiamo nei discepoli, sia che ci riconosciamo nei greci, è un’attesa che anche noi oggi possiamo comprendere e vivere: incontrare personalmente una figura di cui abbiamo a lungo sentito parlare. Al centro del racconto di Marco, ha ricordato Grandi, c’è la domanda che fa da architrave a tutta la narrazione: “E voi, chi dite che io sia?”. Un interrogativo dal valore antropologico, che ci aiuta a capire che “la dinamica della relazione con Gesù di Nazaret è quella della maturazione di un rapporto di reciproca e intensa conoscenza tra persone viventi”. Un interrogativo rivolto da Gesù ai primi discepoli, che lo hanno incontrato fisicamente, ma che riguarda anche il cammino della seconda generazione dei discepoli, alla quale anche noi apparteniamo.
Chi sono io per voi?
La conoscenza, prima superficiale, di una persona si trasforma via via in un “riconoscere” l’altro, grazie agli aspetti fisici, al linguaggio, al modo di pensare, fino allo scambio: “Che cosa pensi di me? Chi sono io per te?” E’ un cambio di passo fondamentale in una relazione, una tensione al dialogo che dà il via ad una relazione di effettiva intimità, ha ricordato Grandi. E il Vangelo di Marco ci introduce a questa stessa dinamica di maturazione di un incontro intimo con una persona vivente, la stessa che hanno sperimentato i discepoli. Dopo averlo riconosciuto come il Cristo, l’unto, il liberatore, faticano a riconoscerlo Figlio di Dio: è il percorso che li porta all’intimità con il Maestro, che li porta a riconoscere in Lui il Dio che salva e dona vita, in modo radicalmente opposto ai sovrani terreni, pronto a seguirci nei nostri sentieri di morte per riportarci alla vita.
Il racconto di Marco, però, finisce con la cronaca di un fallimento: Gesù morto, i discepoli dispersi, le donne giunte al sepolcro vuoto che fuggono impaurite, incapaci di parlare. Ma è proprio qui, in questo contesto – ha sottolineato Giovanni Grandi – che si innesta la storia non scritta della comunità che incontra Gesù, e che sarà aiutata dallo Spirito consolatore ad ascoltare e a parlare con Dio, vivendo alla sua presenza, ascoltando e riconoscendo la sua voce.
Le prime comunità e noi
La comunità degli inizi dice anche a noi oggi che c’è ancora qualcosa da scoprire, che quella domanda, “E voi, chi dite che io sia?”, risuona anche per noi oggi. Dall’idea iniziale che ci siamo fatti di Gesù di Nazaret dobbiamo passare a discuterne proprio con Lui, in un dialogo a tu per tu, quasi in un “corpo a corpo” spirituale, che apre all’intimità tipica delle relazioni forti tra amici.
“Noi oggi non siamo in condizioni molto diverse dal set delle prime comunità – ha ricordato il prof. Grandi -. Anche oggi nuove persone, per conoscere Gesù, hanno a disposizione tutto ciò che occorre per iniziare un percorso: le nostre comunità, il nostro modo di vivere e il racconto della vicenda del maestro venuto dalla Galilea e finito crocifisso tra lo sconcerto e il timore dei suoi. Da qui, ogni volta, si riparte. Ma dobbiamo chiederci, interrogandoci sull’evangelizzazione, quanto il nostro modo di vivere sia attraente e susciti curiosità positiva” e quanto invece sia appesantito, quanto la nostra conoscenza del vangelo sia dottrinale. Oggi stiamo prendendo coscienza di questi limiti, anche grazie a papa Francesco. Lo sguardo della comunità cristiana deve da un lato posarsi più decisamente sui “greci”, che occorre conoscere e capire, e dall’altro deve posarsi ancora più decisamente – ha ricordato Grandi – sul Signore Gesù, perché è di Lui che le persone domandano, ed è Lui che attrae a sè. E in questo cammino la Chiesa, nel servizio al Regno di Dio, è luce che illumina i sentieri della vita spirituale e aiuta a riconoscere i modi dello Spirito di visitarci.
Il cammino sinodale diocesano
Un cammino, quello che ci attende come diocesi in questo nuovo anno, che il Vescovo ha definito con alcune prime caratteristiche, annunciando una “Lettera pastorale” in cui il progetto sarà presentato in modo più dettagliato. L’obiettivo, innanzitutto, è quello di individuare alcune scelte ritenute importanti per la vita della nostra chiesa in questo momento e nel prossimo futuro. “Alcune” significa “poche” ha precisato il Vescovo, per non rischiare, volendo affrontare molti temi, di non lavorare efficacemente su nessuno di essi. “Il “cammino” – Sinodo significa cammino fatto insieme – indica la pazienza di un percorso – ha ricordato mons. Gardin -, che non pretende di raggiungere immediatamente la meta, che non affronta e risolve tutto in tempi brevi. Se ciò che ha determinato in prima battuta la proposta del Cammino Sinodale è stata la Visita pastorale, a me pare che dalla Visita scaturisca una chiara sollecitazione a cercare di capire insieme che cosa il Signore domanda a noi oggi”.
Ecco l’invito a disporci a “lavorare con sereno realismo, senza la pretesa di conseguire cambiamenti prontamente risolutori e attuati su molti fronti, ma portando avanti con semplicità e con paziente determinazione alcune “conversioni” personali, comunitarie e pastorali (…) frutto di un discernimento condotto insieme, nell’ascolto della Parola e dei segni dei tempi, nella preghiera, nel dialogo fraterno e nel costruttivo confronto reciproco”.
Lo stile
Uno stile che il Vescovo ha definito “una certa qual sinodalità permanente” da immettere nella nostra chiesa. Questo impegno domanda un cambiamento nel nostro modo di essere e di fare chiesa, certo, ma che “ci è chiesto dai mutamenti dentro e fuori le nostre comunità e dal volto nuovo di chiesa che a partire dal Concilio Vaticano II stiamo imparando sempre più a conoscere e rendere effettivo”, ha sottolineato mons. Gardin, che ha anche ricordato alcune espressioni di papa Francesco, sulla chiesa che cammina insieme, nel suo discorso introduttivo al Sinodo dei Vescovi.
Le scelte da compiere per la vita della nostra chiesa, ha poi precisato il Vescovo, non dovranno essere solo “pastorali” in senso operativo, ma più ampiamente “ecclesiali”: “riflettere e decidere non solo circa il che cosa fare per evangelizzare, per annunciare Cristo o il vangelo; ma anche, e prima ancora, domandarci come essere, come lasciarci maggiormente evangelizzare, per “cristianizzare”, prima di tutto, noi stessi e le nostre comunità”.
L’icona evangelica scelta per farci accompagnare e guidare nel “cammino sinodale” è quella dei Discepoli di Emmaus; e l’espressione individuata è “Discepoli di Gesù, verso un nuovo stile di chiesa”. Stile, non forma, ha specificato il Vescovo, perché “sembra indicare non immediatamente le istituzioni o le strutture o le iniziative o gli “spazi” ecclesiali, ma “un modo di stare nel mondo”: più evangelico, più essenziale, più accogliente, più testimoniale e umilmente missionario, più attento a riconoscere il bene che il Signore semina nel mondo”.