Ai più fragili tra i fragili. Papa Francesco ha dedicato il messaggio per la 103ª giornata del migrante e del rifugiato ai “migranti minorenni, vulnerabili e senza voce”: coloro che rischiano, per l’assenza di adulti che li accompagnino, di finire “nei livelli più bassi del degrado umano, dove illegalità e violenza bruciano in una fiammata il futuro di troppi innocenti”. Sono loro a pagare i costi più alti in una migrazione troppo spesso provocata “dalla violenza, dalla miseria e dalle condizioni ambientali”. E fin troppo spesso “la corsa sfrenata verso guadagni rapidi e facili comporta lo sviluppo di aberranti piaghe come il traffico di bambini, lo sfruttamento e l’abuso di minori”, violando ogni loro diritto. Francesco ricorda che la linea tra migrazione e traffico troppe volte si fa “sottile”, perché “la spinta più potente allo sfruttamento e all’abuso dei bambini viene dalla domanda”. E “se non si trova il modo di intervenire con maggiore rigore ed efficacia nei confronti degli approfittatori, non potranno essere fermate le molteplici forme di schiavitù di cui sono vittime i minori”. Interventi che non possono fermarsi soltanto alla repressione dei traffici, ma chiedono, oltre alla “protezione”, di orientarsi alla loro “integrazione” perché le soluzioni diventino “durature”. Sarà possibile solo se si riesce a collaborare tra paesi di accoglienza, paesi d’origine e migranti stessi, per superare l’illusione che politiche di rifiuto e di indifferenza possano essere efficaci rispetto a queste tragedie. Vanno rimosse le cause che provocano migrazioni forzate, e “questo esige, come primo passo, l’impegno dell’intera Comunità internazionale ad estinguere i conflitti e le violenze che costringono le persone alla fuga. Si impone una visione lungimirante, capace di prevedere programmi adeguati per le aree colpite da più gravi ingiustizie e instabilità, affinché a tutti sia garantito l’accesso allo sviluppo autentico, che promuova il bene di bambini e bambine, speranze dell’umanità”.
Su quest’ultima affermazione, mi permetto di richiamare una semplice constatazione: il Veneto, l’Italia, stanno diventando sempre più un paese di vecchi, la cui qualità della vita non potrà essere a lungo garantita se non crescono generazioni giovani, capaci di creatività e futuro. Pur avendone un gran bisogno, non riusciamo a «trattenere» sul nostro territorio né i giovani di qui né quelli che arrivano da altrove, perché il lavoro scarseggia. «Facciano meno figli» spesso si dice. Ma forse la sfida che il “segno dei tempi” rappresentato dai più piccoli fra i migranti pone alla nostra società è quello di reinventare un sistema economico e sociale in cui possano essere riequilibrate le relazioni tra anziani, giovani, bambini. Ben oltre l’indifferenza e l’ostilità, ne va del nostro futuro.
A noi cristiani lo chiede un Dio che nasce bambino, irrimediabilmente affidato alle nostre mani e alla nostra intelligenza.
(don Bruno Baratto, direttore Migrantes)