Mentre uscivo dal nostro Seminario, un paio di settimane fa, vi ho visto affisso il poster che richiama la Giornata del Seminario di quest’anno. Vi campeggia, scritta a grandi caratteri, un’espressione che rimane, per così dire, a mezz’aria: «Per una chiesa che ha a cuore». Lì per lì viene da dire: che ha a cuore che cosa? Che si tratti del Seminario lo si capisce poi facilmente da quel Giornata del Seminario 2016 che sta in testa al manifesto. Però quella domanda mi ha fatto riflettere. E mentre tornavo a piedi verso il vescovado pensavo tra me e me: quali sono le realtà che devono “stare a cuore” ad una chiesa particolare, cioè ad una diocesi? Mi dicevo: sarebbe interessante porre questa domanda ad un gruppo di cristiani di una nostra qualunque comunità parrocchiale. Ho pensato che ne verrebbero molte risposte: la liturgia, i poveri, la catechesi, i giovani, la famiglia, le problematiche sociali, i malati, i disabili, le missioni; e l’elenco potrebbe farsi lungo, a seconda dell’esperienza e della sensibilità di ciascuno.
Il mio cervello ha continuato a ragionare e la mia attenzione si è spostata sul soggetto che “ha a cuore”. Viene detto: “per una chiesa che ha a cuore”; non ci si riferisce solo al clero, o al vescovo, o a persone con compiti specifici dentro la comunità cristiana: semplicemente la chiesa. Dunque tutti coloro che si riconoscono membri della comunità dei battezzati.
Ma ad un certo punto – ero ormai verso piazza Duomo – il mio ragionare si è trovato, inevitabilmente, di fronte alla domanda decisiva provocata dal poster: ma questa chiesa, la nostra chiesa, ha davvero a cuore la realtà del Seminario? Trovavo difficile rispondere – come si usa dire enfaticamente oggi – “assolutamente sì!”; ma neppure mi veniva un “assolutamente no!”. Mi sono detto: anzitutto devo riconoscere che nel Seminario e per il Seminario lavora un gruppo di sacerdoti (ad essi si aggiunge un diacono permanente), dediti con passione alla formazione dei seminaristi: dobbiamo tutti essere grati a loro, perché le loro persone, forse prima ancora che la formazione che essi offrono, sono la proposta educativa più efficace per i ragazzi e i giovani. In secondo luogo – me lo ricordava anche il rettore don Pierluigi in questi giorni – esiste un vasto numero di laici e laiche che in maniere diverse si pongono direttamente a servizio del Seminario, altre che lo sostengono dall’esterno, anche con tanta preziosa preghiera: tutte persone che esprimono un amore sincero per il Seminario, e per il Seminario sono un’autentica benedizione.
E poi tanti preti amano il Seminario, non solo perché racchiude ricordi giovanili ai quali la loro mente torna volentieri, ma anche perché lo vedono come la garanzia che in questa chiesa continuerà ad esserci chi offre la Parola, l’Eucarestia e gli altri segni efficaci della presenza amorosa del Signore che sono i sacramenti; che non mancheranno la cura pastorale delle comunità, la formazione cristiana e l’accompagnamento dei cammini di fede di tante persone, e tanti altri servizi propri del prete necessari alla vita di una chiesa.
E allora ho pensato: davvero, tra le molte cose che in questa chiesa devono stare a cuore a tutti, non può mancare il Seminario. Perché il Seminario fa sì che la nostra chiesa continui ad essere anche in futuro, per grazia del Signore, grembo di fede e di vita cristiana. Il che significa che, se è compito più specifico del vescovo e di alcuni preti assicurare che il Seminario “funzioni bene”, è compito di tutti, a cominciare dalle famiglie, dalle comunità parrocchiali, dalle catechiste, dagli animatori… che si creino condizioni perché la voce del Signore che chiama al ministero presbiterale sia percepita, e il fascino che emana da quella chiamata non venga oscurato da altre attrattive.
Noi ci ostiniamo a credere che Gesù continua a passare accanto a qualcuno, come lungo il lago di Galilea, dicendo: «Vieni dietro a me, ti farò diventare pescatore di uomini». L’evangelista riferisce che Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni «subito lasciarono le reti e lo seguirono» (Mc 1,17s.). Qualcuno avrebbe potuto dire a quei chiamati: ma dove vai? Sai cosa lasci ma non sai cosa trovi! Ma che cosa ti viene in mente? Ma in quale strana avventura ti stai infilando?
Probabilmente questa opposizione non avvenne per gli apostoli. In ogni caso è arduo lasciare tutto e seguire Lui avendo molti contro, ed è naturale scoraggiarsi riscontrando perplessità o indifferenza attorno a sé. “Avere a cuore” il Seminario significa, prima di tutto, consentire al Signore di chiamare, e aiutare chi avverte la sua voce a farsi liberamente suo interlocutore.
Intanto ero arrivato alla porta del vescovado. Entrando, mi è venuto in mente che un vescovo spagnolo che ho conosciuto, quando nelle parrocchie gli veniva chiesto dalla gente di inviarvi altri sacerdoti, rispondeva: «Purtroppo cala il numero dei preti e ancor più quello dei seminaristi. Comunque vi ricordo che i futuri preti non nascono nel mio vescovado, nascono nelle vostre famiglie!».
E allora domenica prossima alla preghiera per il Seminario si accompagnerà quella per le comunità cristiane e per le famiglie: luoghi in cui nascono i futuri preti.
† Gianfranco Agostino Gardin