Come fu per il profeta Ezechiele, che era stato posto da Dio a sentinella per la casa d’Israele, con la missione di avvertire e ammonire, così in questa stessa missione pastorale del beato Longhin si è rivelata la sua fedeltà al Signore. Lo ha ricordato don Lino Cusinato, durante l’omelia della celebrazione eucaristica nella memoria del beato Andrea Giacinto Longhin, lunedì 26 giugno, in Cattedrale.
Alla celebrazione, presieduta dal vescovo Gianfranco Agostino, hanno preso parte anche il vescovo emerito Paolo Magnani, i canonici del Capitolo della Cattedrale e numerosi sacerdoti. Presente anche un nutrito gruppo di fedeli di Fiumicello di Campodarsego, paese natale del beato, accompagnati dal loro parroco.
Mons. Gardin, all’inizio della celebrazione, ha ricordato che, in occasione della memoria di un pastore che ha speso ben 32 anni della sua vita in questa nostra Diocesi, siamo di fronte a una risposta pronta, generosa e fedele alla vocazione religiosa, sacerdotale, alla chiamata al ministero episcopale, a una vita donata a Dio e al suo popolo.
Don Lino Cusinato ha ricordato come Longhin abbia esercitato il compito affidato da Dio ai pastori di “avvertire” mettendo la predicazione al primo posto, caratteristica sottolineata anche da san Giovanni Paolo II nel rito di beatificazione. Di lui disse che fu “vescovo evangelizzatore, che anticipava il Concilio Vaticano II, che indica nell’evangelizzazione uno dei principali doveri dei Vescovi”. Egli ha anche “ammonito” con libertà e coraggio, come un padre amoroso, che spronava e sosteneva preti e laici, restando sempre accanto a loro. “Essere con” era la caratterstica del vescovo Longhin, con la sua chiesa, con i suoi preti, con i suoi religiosi e la sua gente. “Dei 32 anni di episcopato, più di 18 li ha trascorsi nel territorio diocesano extra moenia – ha ricordato don Cusinato – per le tre visite pastorali alle parrocchie e in risposta ad ogni richiesta di presenza e partecipazione. Non ha ammonito a distanza, ma sempre accanto, e nella condivisione”.
La coscienza del mandato era la sua forza, un mandato che gli era stato affidato da Dio e dalla Chiesa nella persona del Papa. Il mandato vissuto come vocazione e missione, al quale aveva dato una risposta d’amore. “Perciò soltanto a Dio doveva rispondere: e questo era il fondamento della sua libertà, il segreto del suo coraggio, ma anche la ragione della sua umiltà e della sua intensa preghiera”. Un pastore libero, che ha educato generazioni di preti e laici alla libertà, liberi dal fascino ideologico della cultura dominante e dal potere politico. L’ideale evangelico nel riflesso francescano lo aveva affascinato fin da ragazzo, ed era visibile anche nel vescovo cappuccino, non solo nella povertà e penitenza, ma nella preferenza dei poveri, degli ultimi, dei malati, degli appressi…
E’ stato un promotore di pace, il vescovo Longhin, che cercava i “figli della pace” a cui donare la pace del Signore Risorto nelle famiglie, nella società, nella vita politica, nelle comunità parrocchiali e religiose. Fu contro la guerra che riteneva frutto di politiche senza Dio e del male. E ricordando il voto del 27 aprile 1917, quando Longhin chiese a Maria Ausiliatrice che la città di Treviso fosse risparmiata dalla distruzione e tornasse la pace, Cusinato ha sottolineato il significato di quella consacrazione e della devozione mariana di Longhin: era un affidarsi al cuore della Madre come a quello del Padre: “e ancora oggi quella chiesa ci parla del grande cuore del nostro beato pastore”.