Il Messaggio del Vescovo per i nuovi sacerdoti: “Uomini per il Signore, per la Chiesa, per il Regno”

Pensando alle imminenti ordinazioni presbiterali mi viene spontaneo metterle in relazione al momento – per me assai coinvolgente, come si può immaginare – che sta vivendo la nostra chiesa diocesana, quello del Cammino Sinodale. Guardo dunque a questi tre prossimi giovani preti e mi dico: iniziano il loro ministero presbiterale in questa Chiesa che sta cercando di costruire il suo futuro, avvertendo interrogativi e sfide, sperimentando incertezze e sollecitazioni, scorgendo attorno a sé e dentro di sé profondi cambiamenti. Poi guardo alla loro età: hanno 32, 29 e 28 anni. Considerando l’attuale attesa di vita in Italia (prevedibilmente destinata a crescere) li vedo allora esercitare il loro ministero a cavallo tra la prima e la seconda metà di questo secolo. E allora nascono, inevitabilmente, delle domande. Probabilmente le loro stesse domande, quelle cioè di chi inizia un impegnativo percorso di vita; ma sono anche le domande di quanti hanno a cuore tale percorso, lo desiderano per loro positivo, soddisfacente, in grado di favorirli nell’esplicazione dei doni ricevuti (a partire da quello del sacramento dell’Ordine).

Queste domande si affacciano alla riflessione di chi scruta con attenzione la realtà, e si chiede, in questo caso: come sarà la vita di questi cristiani e preti del XXI secolo? Si ritroveranno smarriti nel rapido susseguirsi dei cambiamenti? Dovranno portare pesi non facilmente sostenibili? Oppure saranno positivamente stimolati a costruire nuovi e più soddisfacenti modelli di comunità cristiana e di prete? Troveranno spazi di ministero in cui esprimere il meglio di loro stessi? E via interrogando. Le risposte, si sa, possono essere diverse. Chi, segnato da un certo pessimismo o nostalgico del passato, vede il futuro come un orizzonte in cui si addensano nubi cupe e poco rassicuranti, li considererà destinati ad un compito arduo e carico di travagli. Chi vede i cambiamenti attuali come una sorta di uscita dai mala tempora del passato, li considererà come preti fortunati, destinati a vivere e ad operare in una chiesa più leggera, essenziale, “aggiornata”.

In verità si tratta di previsioni difficili. In ogni caso, queste domande, seppur simili, non sono le stesse che sorgono in chi si appresta ad impegnare la propria vita in questa o quella professione, o ad investire i propri talenti e a giocare le proprie attese in questa o quella attività lavorativa. Giustamente don Pierluigi Guidolin, rettore del nostro Seminario, riconoscendo anch’egli, nell’ultimo numero de La Vita del popolo, che «non si sa bene quale Chiesa ci sarà tra qualche decennio», osservava: «Eppure, ci sono giovani che seguono il Signore». Ecco il punto. Qui non c’è di mezzo la scelta di una professione; qui c’è la risposta ad una chiamata del Maestro che continua a passare lungo il lago, dicendo ad alcuni pescatori: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini» (Mc 1,17).

Sabato prossimo Enrico, Denis ed Emanuele saranno ordinati non perché hanno pensato che, tutto considerato, essere preti potrà offrire loro una vita con un più alto tasso di soddisfazioni personali rispetto ad altri possibili “investimenti”. Semplicemente hanno accolto una chiamata, del cui impegno non sono ingenuamente ignari; hanno detto “sì” al Signore perché è il Signore. Non sono stati spinti dal desiderio di assicurarsi un futuro garantito da fatiche o assilli eccessivi, ma da quello di rispondere al Signore che sceglie i suoi ministri, dicendo, come il profeta, un sereno e convinto «Eccomi, manda me!» (Is 6,8).

Devo confessare che sempre più, con il passare degli anni, mi commuove il “sì” di questi giovani detto al Signore e alla Chiesa. Qualunque sia il loro futuro di preti, essi sanno comunque di assumere un sacerdozio più spoglio, rispetto al passato, di una certa retorica ecclesiastica e anche di un certo rilievo sociale. E dicono, come Paolo: «So in chi ho posto la mia fede» (2Tim 1,12); accogliendo l’invito a servire il Signore e la comunità cristiana non come dei “capi”, ma come dei servi; e se anche assumono una funzione che riveste il nome di “presidenza” (liturgica, pastorale), sanno bene che è chiesto loro di svolgerla come Colui che ha lavato i piedi ai suoi discepoli.

In qualunque Chiesa si troveranno ad esercitare il loro ministero, i nostri prossimi tre nuovi preti sanno che il loro impegno – come ricorda papa Francesco – troverà la sua radice e le sue motivazioni in una triplice appartenenza: «al Signore, alla Chiesa, al Regno». Questo sarà sempre sufficiente per continuare a “lasciare tutto” e seguire il Maestro nell’avventura della missione. Il Signore non li abbandonerà; il Regno sarà l’orizzonte che darà loro il coraggio di donarsi; e la Chiesa li amerà, anche nelle loro fragilità e nei loro limiti.

Sì, noi vogliamo bene a questi nuovi preti; e non solo nei momenti emozionanti che ci fa vivere l’ordinazione sacerdotale. Un bene sincero, un affetto che nasce dall’ammirazione verso il loro “eccomi”, che dice la nostra gratitudine per il loro farsi, come Gesù, “uomini per gli altri”.

Gianfranco Agostino Gardin, Vescovo di Treviso