“Il Vangelo è Gesù Cristo e Gesù è il Vangelo”. Lo ha ripetuto più volte con la sua inconfondibile voce fratel Enzo Bianchi nel suo intervento in Cattedrale. Potrebbe sembrare un gioco di parole scontato o un’eccessiva enfatizzazione retorica, ma non è così. Il Vangelo che è Gesù non può mai essere dato per “acquisito” una volta per tutte. Eppure il rischio – occorre riconoscerlo con franchezza – è reale anche per le nostre comunità. Evocando il coraggio di Paolo di chiedere ai cristiani di Corinto un esame di coscienza circa la loro fede (”Esaminate voi stessi…”), fratel Enzo ha di riflesso rivolto anche ai presenti lo stesso interrogativo, che potrebbe suonare così: «Che ne è di Gesù Cristo nelle nostre comunità cristiane?».
La provocazione dell’apostolo Paolo risuona forte anche ai nostri giorni, perché esiste la possibilità di dare per scontata e “digerita” la conoscenza del mistero di Cristo e di dedicare la maggior parte del tempo e le energie migliori all’organizzazione ecclesiale. E’ la tentazione di quell’«accidia pastorale» dai mille volti abbondantemente denunciata in Evangelii Gaudium e ripresa più volte negli interventi di papa Francesco. Come ricorda anche il Vescovo, nella sua Lettera sul Cammino Sinodale, la centralità della persona di Gesù può essere smarrita per strada anche da parte di chi lo “frequenta” da vicino: «il rapporto con Gesù può farsi opaco o flebile non solo in cristiani che vivono piuttosto ai margini della comunità: può divenire tale anche in cristiani che sono considerati, o si considerano, “impegnati”» (pag. 24). Quando ciò avviene, cioè quando viene meno lo stupore e la gioia dell’incontro con Gesù, può accadere di “scivolare” nell’appello ai «valori cristiani», e alla «dottrina tradizionale della Chiesa». Sono tutte espressioni legittime, ma che tendono a restare sul piano teorico delle enunciazioni di principio, più che toccare la “carne” dell’incontro con Gesù nella vita concreta delle persone.
In questo senso fa riflettere un dato che sta emergendo dai lavori sinodali: sia nelle motivazioni espresse nella scelta delle “situazioni” nei gruppi di lavoro dell’Assemblea Sinodale del 18 febbraio, sia nei “suggerimenti” raccolti dalle Assemblee Sinodali Vicariali che stanno svolgendo in queste settimane, è emersa, almeno in una certa misura, proprio la tendenza ad argomentare richiamandosi ai princìpi («Si dovrebbe fare…», «Bisogna che…»). Non è facile e scontato tenere il timone sulla centralità di Gesù quando si parla delle famiglie e dei poveri, perché si rischia quasi inavvertitamente di scivolare in ciò che non va e in ciò che “bisogna fare per”. Rimettere al centro Cristo non significa certamente “volare alto” e tralasciare la concretezza della vita, ma cambiare prospettiva. Il Cammino Sinodale, che Enzo Bianchi ha definito come “un’iniziativa di grande intelligenza spirituale”, forse può offrire la possibilità di introdurci in un modo di procedere insieme più liberante e più ispirato al Vangelo. Servirà certamente del tempo per maturare questa nuova prospettiva, ma è proprio questo il senso dell’espressione “avviare processi”, più volte richiamata per indicare il senso e la prospettiva del Cammino Sinodale.
(don Stefano Didonè, segretario del Cammino Sinodale)