“Tra molti anni spero che possiate dire anche voi, come don Mario Battiston, che ci ha lasciato ieri, «sono stato molto felice della mia vocazione sacerdotale e sono stato tanto contento di essere prete»”: è l’augurio finale che il vescovo Gianfranco Agostino ha rivolto sabato pomeriggio ai nuovi sacerdoti, don Enrico Fusaro, don Emanuele Sbrissa e don Denis Vedoato. Una celebrazione bella, partecipata da tantissime persone che hanno affollato la cattedrale, i famigliari, gli amici, i parrocchiani dei tre giovani, i seminaristi e i tanti sacerdoti che hanno concelebrato con il Vescovo e che si sono stretti ai tre giovani in un abbraccio corale.
Mons. Gardin nell’omelia ha ripercorso le diverse parti del rito, ricordando che le più significative vengono vissute dagli ordinandi in ginocchio “quasi a voler dire la propria pochezza, la propria insufficienza”. A parte il momento dell’invocazione sugli ordinandi dell’intercessione dei santi, in cui essi sono addirittura prostrati a terra, “sono in ginocchio nel momento culminante e assai espressivo dell’imposizione delle mani sul loro capo da parte del Vescovo e di tutti i sacerdoti presenti, sono in ginocchio mentre su di loro viene recitata la grande preghiera di ordinazione; lo sono durante l’unzione delle loro mani con il sacro crisma; lo sono mentre ricevono il pane e il vino che nella Liturgia eucaristica diventeranno il Corpo e il Sangue del Signore. Questo ricevere il dono del sacramento in ginocchio esprime, in fondo, una verità da custodire – ha spiegato il Vescovo -. Afferma che essere ordinato sacerdote non significa raggiungere un traguardo, o conquistare una posizione nella scala ecclesiale; l’ordinazione non è il coronamento di un curriculum di studi e di formazione con il solenne riconoscimento di una qualifica acquisita. Semplicemente è ricevere dal Signore un dono; un dono non meritato, e per il quale è giusto ed è sano riconoscersi inadeguati. Un dono che non è per se stessi, per la propria personale soddisfazione, per la propria gloria, ma per gli altri, per la Chiesa; è un dono a servizio del Vangelo, un dono che fa di un cristiano un umile operaio nella «vigna del Signore»”.
Ricordando i percorsi di ciascuno dei tre giovani e il loro affidarsi al Signore, con fiducia e gratitudine, pur consapevoli della propria inadeguatezza, il Vescovo ha sottolineato che “come nell’esperienza di Isaia, gli occhi di Enrico, Emanuele e Denis hanno visto il Signore; e il timore di non essere all’altezza si è tramutato in fiducia e in gioia, perché hanno conosciuto la bontà e la tenerezza di Dio. E allora anch’essi hanno detto: Ecco, manda me! E il Signore ha detto loro: Va’. Troviamo qui l’attuazione delle parole di Gesù, ascoltate nel brano evangelico: «Se mi amate, osservate i miei comandamenti» (Gv 14,15). Cioè: se avete conosciuto davvero il mio amore, saprete dire di sì alla chiamata, al mandato, alla richiesta di fare della vostra vita un dono, come io, Gesù, ho fatto”.
Ma don Enrico, don Emanuele e don Denis non devono sentirsi soli. Hanno accanto a loro tutta la comunità cristiana, ha ricordato il Vescovo, che dice loro “coraggio, ci siamo anche noi, camminiamo nella comunione, lavoriamo insieme per il Regno”. Un incoraggiamento che è espresso in modo molto bello, all’interno del rito, nell’abbraccio di pace e di fraternità, con il Vescovo e con i presbiteri di cui sono diventati fratelli. Non un semplice complimentarsi per il traguardo raggiunto: “Entrando nella fraternità del presbiterio, essi sentono che possono stare in piedi, cioè possono svolgere il loro ministero, essere fedeli al loro impegno. E possono farlo proprio perché sostenuti non solo dal dono del sacramento e dalla forza dello Spirito ricevuto, ma anche dalla fraternità presbiterale, dalla condivisione dello stesso ministero con i fratelli con i quali condividono anche la stessa vocazione nella medesima chiesa”. Un abbraccio, quello dei fratelli preti, che porta in sé quello di tutta la comunità cristiana.
Alla fine della celebrazione i neo ordinati “vanno” – ha sottolineato il Vescovo – come Filippo, Pietro e Giovanni, che lasciano Gerusalemme per andare a predicare il Cristo in Samaria. “Il verbo dell’inviato è «andare», partendo da Gerusalemme, la città in cui si è consumato il mistero pasquale di Cristo, in cui è nata la Chiesa. Anche voi, cari ordinandi, partendo da questa Gerusalemme, dal luogo e dall’evento della vostra ordinazione, andrete e porterete il Cristo. Avete tutti raccontato di esservi sentiti amati dal Signore, e anche questa celebrazione sarà un grande atto di amore del Signore per voi e per questa nostra chiesa; avete tutti detto che vi siete sentiti amati da tante persone, a cominciare dai vostri genitori, da tanti preti e laici, che vi hanno accompagnati nel cammino di formazione”.
“Cari ordinandi – ha concluso il Vescovo -, vi è chiesto di andare e annunciare. Andate e donate l’amore e la tenerezza di Dio. Amate, amate sinceramente le persone affidate al vostro servizio; amatele con cuore puro, con dedizione piena, con gioia; amatele di un amore maturo, che non teme il sacrificio, capaci – secondo le parole che vi rivolgerò nell’ultimo atto del rito – di «conformare la vostra vita al mistero della croce di Cristo». Noi vi saremo accanto, con affetto, con amicizia, con simpatia, con la nostra gratitudine, con la nostra preghiera”.
Un lunghissimo e commosso applauso ha poi accompagnato la processione finale dei novelli sacerdoti, di tutti i concelebranti, dei diaconi, dei seminaristi e dei chierichetti che hanno prestato il proprio servizio.
L’omelia integrale del Vescovo