“La preghiera ci permette di trovare forza e consolazione, nella speranza viva, e nella fede, con la certezza che l’ultima parola non è stata detta dalla solitudine, dalla paura, dalla morte, ma è ancora, e sarà, quella del Dio della vita che dona una vita che non muore, e che consola chi resta con una promessa di futuro”: è uno dei passaggi centrali della riflessione che il vescovo Michele Tomasi ha fatto oggi pomeriggio, domenica 1° novembre, al cimitero maggiore di Treviso, a San Lazzaro, durante la Liturgia della Parola, cui è seguita la benedizione delle tombe.
Presenti alla celebrazione il sindaco di Treviso Mario Conte con alcuni consiglieri comunali e i parroci delle parrocchie cittadine. Mons. Tomasi ha ringraziato loro e tutti i fedeli per la loro presenza, ricordando che “siamo qui in rappresentanza di tanti che non possono essere presenti. I parroci rappresentano tutte le parrocchie della città e il sindaco e i consiglieri tutta la cittadinanza, in un momento in cui abbiamo bisogno di coesione e di solidarietà, di amicizia sociale nella prova e nelle fatiche che questo momento ci impone”.
Il Vescovo ha poi ricordato come uno dei momenti più intensi della sua esperienza di vescovo sia stata la preghiera di intercessione che ha tenuto nello stesso cimitero, da solo, il 27 marzo in pieno periodo di confinamento: “La preghiera era allora per tutti i fratelli e le sorelle che sono morti durante il periodo di confinamento e che non abbiamo potuto congedare con un saluto, con una carezza, con un rito nella comunità”.
Commentando il brano evangelico, mons. Tomasi ha messo in luce l’importanza della testimonianza di Maria di Magdala, “perché l’annuncio della Pasqua lo possiamo cogliere solamente da chi ama profondamente il Signore, e gli dona la vita”.
“Ecco questi due giorni, la festa gioiosa dei santi e domani la commemorazione dei defunti – anche questa è una festa di Pasqua -, nella mestizia, nella memoria grata ma malinconica delle persone che amiamo e non sono più con noi. Nella contemplazione di quel vuoto che può e deve rimanere, perché le persone non si rimpiazzano, perché gli amori restano, noi non siamo chiamati ad andare avanti come se nulla fosse. In questi due giorni noi, però, celebriamo il mistero della nostra vita. E’ nella croce che arriviamo alla risurrezione, è nella morte che scopriamo il mistero profondo della nostra vita perché in quel momento scopriremo se ci siamo donati oppure no, se la nostra vita è stata buona, accogliente, generosa, capace di donare e di chiedere aiuto – la riflessione del Vescovo -. Ci sentiamo fragili, precari in questo tempo, e in particolare in questo luogo, il cimitero, ma siamo presi per mano da questa fede, dall’annuncio di questa donna che nel sentirsi chiamata per nome ha scoperto che la risurrezione è vera. E allora anche noi siamo chiamati a far prevaler le ragioni della vita e della speranza, della coesione e della solidarietà tra noi. Lo dobbiamo ai nostri cari, a chi ci ha lasciato, ci ha trasmesso valori e vita. Lo dobbiamo a loro l’impegno a tenerci per mano, ad aiutarci, a sostenerci, a camminare insieme, ad aspettare chi fa più fatica, ad aiutare chi è nel bisogno, a non dimenticare nessuno, a costruire insieme questa nostra società con un tempo buono, un tempo di pace: pace sociale, pace anche economica, pace nel mondo, pace nei nostri cuori, quella pace donata a chi è nel Signore. Non è una pace di quiete, ma attiva di chi vive dell’amore. Anche la nostra sia una pace attiva: camminiamo insieme, non cediamo allo sconforto o alla paura. Questo tempo ci chiede, in nome della memoria dei nostri cari, prudenza, responsabilità, solidarietà e tanto coraggio. Il Signore che ha vinto la morte consoli il nostro pianto, rafforzi la nostra speranza, ci doni le ragioni per continuare a vivere in quell’amore che è l’unica realtà che resta, ora e per l’eternità”.
Nella celebrazione eucaristica in cattedrale, al mattino, mons. Tomasi, commentando il brano delle Beatitudini, aveva sollecitato a chiederci dove è il nostro tesoro, a chi affidiamo la nostra vita, a chi chiediamo salvezza. “Il tempo che ci è dato, per quanto confuso e difficile possa essere, è l’unico tempo a nostra disposizione, e possiamo, ma di fatto dobbiamo decidere se lo vogliamo «consumare»” o se ci disponiamo a vivere “l’inebriante avventura del dono, della gioia che nel profondo dei nostri cuori sappiamo che sarebbe possibile. Ecco la grande scommessa, la grande avventura della santità: quello che siamo non è in mano nostra, non siamo noi a determinare ciò che rende davvero felici, ma piuttosto è colui che ci ha creati e che ci ha fatti, è proprio Dio il Creatore che conosce le nostre più profonde aspirazioni e che è in grado, e anche vuole, dare ad esse risposa ed autentica soddisfazione”.
“Se proviamo la via delle beatitudini, scopriremo soddisfazioni vere, che toccano il profondo dell’anima, e che non finiranno mai. Le Beatitudini – ha ricordato il Vescovo – sono come la carta d’identità del cristiano. “In esse si delinea il volto del Maestro, che siamo chiamati a far trasparire nella quotidianità della nostra vita” (Gaudete et exsultate, 63). Le riassumo nella parafrasi che ne dà papa Francesco, e che ce le può restituire con una freschezza nuova:
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli».
Essere poveri nel cuore, questo è santità. (GE, 70)
«Beati i miti, perché avranno in eredità la terra».
Reagire con umile mitezza, questo è santità. (GE, 74)
«Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati».
Saper piangere con gli altri, questo è santità. (GE, 76)
«Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati».
Cercare la giustizia con fame e sete, questo è santità. (GE, 79)
«Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia».
Guardare e agire con misericordia, questo è santità. (GE, 82)
«Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio».
Mantenere il cuore pulito da tutto ciò che sporca l’amore, questo è santità. (GE, 86)
«Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio».
Seminare pace intorno a noi, questo è santità. (GE, 89)
«Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli».
Accettare ogni giorno la via del Vangelo nonostante ci procuri problemi, questo è santità. (GE, 94)
Tutto questo è lampada sui nostri passi proprio in un tempo di tribolazione, di fatica, di prova. Tocca a noi deciderci, tocca a noi crederci. Preghiamo i nostri amici santi che già hanno percorso questa via di aiutarci ad arrenderci alla nostra felicità.