Era dedicata alla prima delle beatitudini contenute nel Discorso della montagna l’omelia del vescovo Michele nella messa per la solennità di Tutti i Santi, stamattina, 1° novembre, in cattedrale: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli». Una riflessione sulla pagina del Vangelo secondo Matteo, per cercare “il segreto, il mistero della santità” contenuto proprio in quella definizione di beatitudine.
Difficile credere “che ci siano davvero una beatitudine e una felicità nella povertà, in qualunque forma di povertà, o che ci siano davvero dei poveri che stanno diventando eredi di un regno” ha sottolineato il Vescovo, che ha spiegato chi sono questi poveri e le tante povertà che molte persone vivono: “Coloro che non hanno proprio nulla su cui contare, e per i quali questa mancanza arriva a toccare così tanto la vita quotidiana che giunge fino allo spirito, al cuore, al nerbo dell’esistenza”; coloro che vivono una mancanza, un vuoto, dato magari “da un fallimento dei tuoi progetti, come la mancanza di lavoro o di un lavoro dignitoso, o l’impossibilità di sognare almeno un futuro: povertà di avvenire; c’è poi la povertà della malattia e dell’infermità, della non autosufficienza; la povertà dell’ignoranza o l’aridità di chi non sa che cosa significhi un affetto; la mancanza delle capacità e delle forze a causa dell’età che avanza; la povertà di chi è gravato da una colpa, e non riesce a vedere una possibilità di perdono, di riscatto. Mancanza, vuoto, chiusura di orizzonte. È una condizione faticosa e difficile, dura, che rischia di schiacciarti se la vivi da solo e ti prende l’angoscia o la rabbia, ma che porta in sé anche la possibilità di un nuovo inizio e di un incontro”. Una condizione nella quale ci si scopre creature e si è pronti “ad accogliere quella Parola che viene, che ti stana, che ti raggiunge nel profondo di te, che ti dice che sei beato, che sei felice. Perché contro ogni apparente ragionevolezza e contro ogni probabilità ti ritrovi davvero in un Regno retto da chi ti conosce e ti ama”. Il povero in spirito – ha ricordato il Vescovo – “ha un cuore vuoto che attende soltanto di essere riempito: è l’uomo, è la donna che sono veramente liberi, in ascolto, in attesa, quasi, di essere nuovamente ri-creati, ri-generati a vita nuova. Beati perché sono capaci di accogliere il Signore che viene”.
È la condizione di ogni nuovo inizio, di chi si scopre creatura, figlio ed erede, amato e voluto: “Poter fare questo passaggio è il rischio supremo della vita, il rischio della santità, e per compiere questo passo è necessaria la comunità dei fratelli e delle sorelle. Perché nella povertà, se sei solo rischi davvero di soccombere. Hai bisogno di compagni di strada. Hai bisogno di vedere qualcuno che, nella prova, non ha disperato e ha testimoniato la forza della vera gioia. Ed ecco i santi le cui vite ci illuminano gli occhi e ci riscaldano il cuore. E nella prova hai bisogno di chi si metta a tua disposizione e che si prenda cura di te. Ecco perché i mestieri e le professioni della cura sono così necessari alla vita e alla società, ecco perché è folle non riconoscerlo, e non riconoscere loro il fondamentale posto di rispetto e di onore che spetta loro. Ecco la necessità di persone che sappiano stare assieme agli altri, che non abbiano paura di farsi carico delle fatiche, dei bisogni e delle necessità di chi soffre, e che di fronte al grido di aiuto di tanti fratelli e sorelle non si girino dall’altra parte”. La difesa della vita di ciascuno e di tutti – ha ricordato mons. Tomasi – richiede con forza la santità, la dedizione alla vita per amore. La santità è un popolo in cammino, in cui i poveri della storia trovano accanto a sé altri poveri che per amore si sono spogliati del proprio ingombrante io e, tutti insieme, ascoltano la dolcezza della voce che li dice – tutti – beati. Insieme essi – tutti – pongono le condizioni perché questa Parola diventi esperienza di aiuto dato e ricevuto, di vita a tratti faticosa, ma vissuta insieme e senza paura, nella speranza di un amore sempre più grande, di una vita sempre più intensa”.
Camminare insieme, imparando ad amare tutte le condizioni che ci permettono di accorgerci e di prenderci cura gli uni degli altri, e di vedere il volto di Cristo in ogni volto e in ogni storia, e di sentire la voce del Padre che ci crea e che ci ama: questo è santità.