“Il dono grande di cui faccio memoria alla fine di questo 2020 è l’annuncio forte e chiaro della risurrezione del Signore Gesù. Il Crocifisso è risorto, è vivo, ed è primizia di coloro che sono morti. È questa la novità. È questa la memoria inaudita e necessaria, memoria che si fa fondamento e caparra della speranza”: sono le parole centrali dell’omelia del vescovo Michele per la messa di ringraziamento di stasera, 31 gennaio, a conclusione dell’anno civile, con il canto del “Te Deum laudamus”, l’inno di ringraziamento al Signore. Un’omelia che mons. Tomasi non ha pronunciato perché in isolamento fiduciario: una precauzione presa dopo essere stato in contatto con persone risultate positive.
A leggere l’omelia è stato il vicario per il coordinamento della Pastorale, mons. Mario Salviato, che ha presieduto la celebrazione in cattedrale al posto del Vescovo. Hanno concelebrato con lui alcuni canonici del Capitolo della cattedrale, il rettore e alcuni sacerdoti del Seminario, il parroco e il vicario della parrocchia della Cattedrale. Al termine della messa, mons. Salviato ha fatto gli auguri ai presenti a nome di tutti i sacerdoti concelebranti, inviando un particolare augurio al Vescovo.
L’omelia integrale:
“Ecco arrivato anche il momento della fine del 2020. Quando avevo iniziato a preparare queste righe non pensavo di non essere presente in cattedrale a tenere l’omelia, seguendo queste note.
Eppure ecco un segno – piccolo, certo – di quanto questi tempi siano sospesi e strani. Di quanto sia importante prenderci cura gli uni degli altri, nelle piccole come nelle grandi cose.
La fine di un anno è di solito tempo di bilanci. Ma preferisco pensare che la vita non richieda bilanci, quanto piuttosto memoria e speranza, perché il senso profondo di ciò che è stato e la prospettiva di quanto sarà è nelle mani di Dio.
E questo è un dono di grazia, il vero grande dono che ci fa vivere, perché la sua logica è la sovrabbondanza, la misericordia oltre ogni misura, lo spreco d’amore. Facciamo memoria di tanto dolore, sofferenze, paure. Abbiamo nella mente e nel cuore tante immagini dell’anno trascorso.
Alcune le condividiamo perché sono entrate a scandire il ritmo che, tutti insieme, abbiamo vissuto nel diffondersi del contagio, delle notizie a riguardo, delle inquietudini profonde che ci hanno pervaso.
Così ci sono le immagini dei paesi e delle città vuote, dei volti affaticati di medici ed infermieri, il triste corteo dei mezzi pesanti che trasportavano le bare a Bergamo, il papa da solo, in preghiera, in piazza San Pietro.
Altre sono personali e private, e segnano momenti difficili per tanti, per troppi. Magari la solitudine nella malattia, nella paura e nella distanza da tutti, o la perdita di una persona cara, salutata da lontano, nel silenzio, un silenzio più assordante di alte grida.
Forse la preoccupazione dovuta alla perdita del lavoro, per l’impossibilità a far fronte ai bisogni propri o della propria famiglia, e, per chi ha continuato a lavorare, la costante incertezza dovuta a questo contagio, invisibile ma reale.
Facciamo memoria di tutto ciò. La vita matura se ne facciamo esperienza, e l’esperienza ricorda, tiene presente al cuore, non cancella, non rimuove. Anche il corpo glorioso del Signore risorto porta del resto i segni delle ferite sulle mani, sui piedi, al costato.
Ma ci sono sicuramente anche altre immagini che ritornano alla mente di questo lungo periodo, immagini di aiuto, di generosità, di solidarietà autentica e spontanea, magari nelle stesse situazioni di cui abbiamo ricordi dolorosi. Sono ricordi di sorrisi, e di incontri resi ancor più intensi dall’impegno di dover sostituire un abbraccio, un tocco, un bacio. Immagini di persone che riscoprono la relazione tra di loro come un bene primario. Come il bene primario per eccellenza. La vita è relazione. Lo abbiamo capito patendone la mancanza, lo abbiamo scoperto lottando per ricostruire, per rimettere in moto, per rigenerare. Custodiamo anche questa memoria, la memoria della forza grande di noi piccoli umani. La forza grande di chi sa accettare il limite – e siamo limitati, e fragili, e vulnerabili – ma che non accetta che esso impedisca l’amore, l’aiuto, il sostegno reciproco.
Custodiamo la memoria del bisogno della forza che viene dalla vita della comunità, in cui i più forti aiutano i più deboli, in cui si cammina insieme, che è essa stessa matrice di vita. Noi proveniamo da una storia e siamo inseriti in una comunità, in un popolo. Forse ricorderemo chiaramente in futuro di aver avuto bisogno gli uni degli altri, di aver sentito la mancanza di un incontro, di essere stati benedizione con un saluto, un ricordo, un sorriso. La distanza ci ha fatto sentire che non siamo fatti per essere da soli. E che non ci salviamo se non assieme.
Questa memoria si intreccia con quella che celebriamo nella fede. Memoria viva di Cristo, della sua storia con noi, per noi, memoria di tutti gli uomini e le donne che a lui si sono affidati e che di lui si sono fidati. Memoria che è così concreta che si fa storia e Parola, e nutrimento, e relazione sempre nuova con il Dio della vita.
Memoria di una vicenda dolorosa, di sconfitta, di abbandono, di morte. Memoria della croce.
Memoria però anche di quell’evento che è vita, risveglio, eternità: la risurrezione, la sconfitta della morte.
Il dono grande di cui faccio memoria alla fine di questo 2020 è l’annuncio forte e chiaro della risurrezione del Signore Gesù. Il Crocifisso è risorto, è vivo, ed è primizia di coloro che sono morti. È questa la novità.
È questa la memoria inaudita e necessaria, memoria che si fa fondamento e caparra della speranza. Nell’amore infinito di Dio la speranza si nutre e si rafforza, trova il coraggio di non distogliere lo sguardo di fronte alle difficoltà, al male e alla morte, ma si muove “come se vedesse l’invisibile”: vede la luce nel buio, la vita in ogni minima crepa della storia, la concordia al di là di ogni diffidenza, l’amore contro ogni odio ed esclusione. La speranza è il respiro della vita quando – anche contro l’apparente evidenza – il futuro diventa possibile e si fa reale.
La speranza sa che nelle nostre vite è possibile l’accoglienza, l’impegno generoso per gli altri, lo sforzo di tanti per il bene comune, la forza di combattere il male, costruire comunità, di riconoscere la fraternità universale. Lo sa perché si nutre anche della memoria di quest’anno ed è per questo motivo una forza ed una guida reale, non è utopia, non è sogno. Ed è la luce e l’orientamento di cui abbiamo bisogno. Non l’illusione che le cose si mettano a posto da sole, quasi per magia, ma neppure la disperazione di chi non sa vedere vie di uscita ai drammi della vita, e si rinchiude in un isolamento cupo.
Anche se distanti non siamo soli. Perché siamo in una rete reale di relazioni di amicizia, perché siamo fratelli e sorelle, tutti.
E questa rete è tenace come l’amore, ed è salda come l’eternità, anche se sembra fragile come un soffio, e pare talvolta che non lasci tracce di sé.
La intesse per noi il Signore dell’universo che si fa presente in un pezzo di pane, il Fondamento di tutte le cose che sussurra una Parola di bene, l’infinita Bontà che compare, bambino, a dei pastori nella notte.
È Lui che conferma per noi, ora, parole di memoria grata e di speranza salda, parole di vita e di benedizione:
“Ti benedica il Signore
e ti custodisca.
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto
e ti faccia grazia.
Il Signore rivolga a te il suo volto
e ti conceda pace”.
E la nostra risposta, custodita dalla memoria ed alimentata dalla speranza, può risuonare, anche nel nostro buio, come una parola semplice, salda e vera, nonostante tutto e in vista di tutto: “Grazie”!“.