Le eredità del Giubileo: il Vescovo ha chiuso l’Anno santo in diocesi

Domenica 13 novembre, alle 16, il Vescovo ha presieduto la Messa di conclusione dell’Anno santo della misericordia. Moltissimi i fedeli che hanno preso parte alla celebrazione, e molti anche i sacerdoti, i diaconi, i religiosi, le religiose, le persone consacrate che hanno gremito la cattedrale.
“Nel chiudere nella nostra diocesi, come avviene oggi in tutte diocesi del mondo, l’Anno giubilare della misericordia, avvertiamo dentro di noi un sentimento di profonda gratitudine al Signore – ha sottolineato il Vescovo nell’omelia -. Abbiamo coscienza che questo Giubileo è stato per noi un dono; e qui la gratitudine sincera va anche al nostro amato papa Francesco per la sua luminosa intuizione. Abbiamo accolto proposte di riflessione e di conversione interiore, abbiamo vissuto esperienze di fede e di attenzione al prossimo, abbiamo aperto gli occhi sul mondo in maniera nuova. Potremmo, in questo momento, fare una sorta di bilancio di come è stato accolto questo evento giubilare, richiamando ciò che abbiamo potuto vedere all’esterno: la partecipazione di tante persone ai vari appuntamenti e pellegrinaggi giubilari, a cominciare già dal momento stesso in cui abbiamo aperto la Porta Santa in questa cattedrale e in altre chiese della diocesi; l’accostarsi di molti al sacramento della Riconciliazione; il coinvolgimento in iniziative che hanno attuato opere di misericordia di vario genere. Ma sarebbero computi superficiali e forse anche privi di senso. Noi crediamo all’opera silenziosa e nascosta di Dio nei cuori e nelle coscienze: essa ci rimane invisibile; ne possiamo scorgere, tutt’al più, solo degli indizi, dei segni”. E’ l’opera del seme, come raccontato nella parabola evangelica. “Noi vogliamo credere che questo anno giubilare abbia sparso semi di Vangelo nella vita di tante persone” ha detto mons. Gardin, chiedendosi “che cosa ci lascia questo Giubileo? E che cosa ci chiede di non perdere e anzi di incrementare?”.
Tre le “eredità” evidenziate dal Vescovo. “Anzitutto vogliamo pensare che molti abbiano fatto almeno qualche passo in più nella convinzione che noi siamo gli “amati da Dio”; vogliamo pensare che ci siamo maggiormente convertiti al Dio cristiano, al Dio manifestatoci dal volto di Gesù Cristo, raccontatoci dalle sue parabole, rivelatoci dalla sua compassione. Ci auguriamo che sia cresciuta la consapevolezza che, come recita il titolo di un libro-intervista a papa Francesco, il nome di Dio è misericordia. Dio è il Padre dalle braccia spalancate, sempre pronto ad accoglierci. È colui che ci segue nel nostro camminare nell’esistenza, dove i passi sovente sono incerti o affaticati”.
“In secondo luogo questo Giubileo ci ha aiutato a guardare all’umanità, soprattutto all’umanità ferita, abbandonata, emarginata, con gli occhi di Dio. Senza assumere lo sguardo compassionevole del Dio della misericordia, il nostro vedere si accorcia e si contrae sui nostri interessi. La stessa apertura anticipata della Porta santa del Giubileo in un martoriato paese africano, da parte di papa Francesco, ci ha fatto aprire gli occhi sui dannati, sugli oppressi e gli ultimi della terra. E così abbiamo riscoperto, e forse rivalutato, le “opere di misericordia corporali e spirituali”, che parevano roba da vecchi catechismi. Bisogna riconoscere che il Papa in questo ci aiutato con la sua attenzione vivace e sofferta verso i poveri. Lo ha fatto, tra l’altro, nei suoi “venerdì della misericordia”.

“Una terza eredità che il Giubileo ci lascia – ha ricordato mons. Gardin -, e lascia soprattutto alla Chiesa universale e a tutte le chiese, è allora quella del servizio. La misericordia di Dio ci è mostrata dal Figlio di Dio che vive tra noi come colui «che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). Ci è chiesto di essere una chiesa che serve, che accoglie, che cura ferite, che si fa “ospedale da campo”, che si affianca a chiunque, senza alcun atteggiamento di discriminazione, che impiega le sue risorse prima per le persone che per le cose, prima per la carità che per le strutture. Queste sono caduche, come è detto del tempio di Gerusalemme nella pagina evangelica ascoltata; la carità invece rimane, e rimarrà la credenziale per entrare nel Regno: «Mi hai dato da mangiare, mi hai visitato, ti sei fatto prossimo» (cf. Mt 25,35s.). È questa è la testimonianza che non può mancare nella comunità cristiana: è la testimonianza del vangelo del servizio e della carità, della scelta dei poveri. Non sempre compresa, anzi talora osteggiata. (…) Ecco dunque che cosa ci lascia questo Giubileo. Vorrei dirlo ripetendo le parole pronunciate nell’omelia odierna dal Papa, in occasione del Giubileo delle “persone socialmente escluse”. Egli si è chiesto: «Che cosa resta, che cosa ha valore nella vita, quali ricchezze non svaniscono?» e ha risposto: «Sicuramente due: il Signore e il prossimo. Queste due ricchezze non svaniscono! Questi sono i beni più grandi, da amare”. Di qui l’invito del Vescovo: “Usciamo dunque idealmente da questa Porta santa portando in noi la ricchezza di Dio e aprendoci alla ricchezza che sono gli altri, avvicinati, accolti, amati con la tenerezza di Dio”.