L’esperienza del Seminario per l’America Latina a Verona, nato nel 1961 sulla scia dell’enciclica Fidei Donum di Papa Pio XII, ha caratterizzato una stagione che avrebbe avuto il suo culmine, pochi anni dopo, nel Concilio Vaticano II e che ha cambiato radicalmente il modo in cui le diocesi italiane vivono la propria dimensione missionaria: non più a senso unico, in direzione di sola andata, ma come cooperazione e scambio tra Chiese”. A sottolinearlo è stato don Giuseppe Pizzoli, direttore della Fondazione Missio, intervenuto la settimana scorsa a Verona al convegno organizzato per fare memoria di questa esperienza ecclesiale poi confluita nel Ceial (Centro ecclesiale italiano per l’America Latina) e, successivamente, nel Cum (Centro unitario missionario) che è oggi espressione proprio della Fondazione Missio. Una storia che presto continuerà in una nuova sede nel centro di Verona. “Dopo molti anni – ha confermato don Giuseppe Pizzoli – il Cum lascerà la storica sede di San Massimo per trasferirsi in via Gaetano Trezza 15 all’interno di una struttura che, per molti anni, ha ospitato la sede provinciale dei Padri Camilliani. Si tratta di un passo importante che segna un elemento di continuità con la lunga storia del Cum che ha in Verona la sua sede naturale e storica”. “Il sogno di mons. Giuseppe Carraro”. Così don Sergio Marcazzani, sacerdote veronese, ha definito il Seminario Nostra Signora di Guadalupe per l’America Latina di Verona, nel corso del convegno organizzato per fare memoria dei 60 anni di questa importante realtà ecclesiale della Chiesa italiana. “L’idea di istituire un Seminario per la formazione di sacerdoti da inviare nelle diocesi povere dell’America Latina – ha ricordato don Sergio – nasce quando mons. Carraro era rettore del Seminario di Treviso, ma si concretizzerà solo in un secondo tempo, quando diventerà vescovo di Verona e dal dialogo con altre due figure chiave di questa storia: mons. Antonio Samorè, impegnato alla Pontificia Commissione per l’America Latina, e mons. Giovanni Battista Montini, allora alla Segreteria di Stato vaticano. L’idea di questi tre grandi uomini era proprio creare le condizioni per dare piena attuazione all’enciclica Fidei Donum di Pio XII”. Un sogno che si concretizzerà presto: nell’anno scolastico 1961-1962 nasce nel seminario di Verona la “Sezione per l’America Latina” con 17 chierici da tutta Italia, nel 1962- 1963 gli alunni saranno 44, nel 1963-1964 saranno 72, nel 1965-1966 saranno 103 e raggiungeranno il massimo di 115 nel 1969. “A colpire – ricorda don Vincenzo Zambelli, uno dei primi studenti – era lo stile con cui si viveva la formazione, con un regolamento interno che già profumava dello stile conciliare alla Vaticano II. Ed erano proprio i padri conciliari, tra una sessione dei lavori e l’altra a venire a trovarci arricchendo in maniera unica la nostra formazione umana e spirituale”. Una storia, quella del Seminario per l’America Latina, che si allargherà nel corso degli anni a tutti i continenti e muterà facendo del Cum (Centro unitario missionario) il punto di riferimento per la formazione missionaria di sacerdoti, religiosi e laici delle diocesi italiane in partenza o di rientro dalla missione. Dal 1963 al 1972 rettore del Seminario fu don Fernando Pavanello, cui succedette fino al 1980 don Franco Marton, sacerdoti della nostra Diocesi che furono poi, rispettivamente, direttore della Caritas e direttore del Centro missionario diocesano. “Siamo a metà del guado, ma ricordiamoci che dobbiamo ancora passarlo”. Il guado a cui fa riferimento con questa battuta mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea e ultimo vescovo italiano ancora in vita ad aver partecipato al Concilio Vaticano II, è la piena attuazione del Concilio stesso. Mons. Bettazzi (nella foto), 98 anni, è intervenuto a Verona al convegno per i 60 anni del Seminario per l’America Latina facendo memoria della sua esperienza di giovane vescovo (allora ausiliare di Bologna) durante il Concilio. “Quell’esperienza – ha ricordato Bettazzi – ci ha insegnato l’importanza della collegialità e della sinodalità, parole che papa Francesco sta riportando al cuore della Chiesa. In molti all’inizio del Concilio si aspettavano che gli esiti fossero già scritti, ma così non è stato per volontà di papa Giovanni XXIII che volle che fosse il popolo di Dio, attraverso i vescovi provenienti da tutto il mondo, il vero protagonista di questo processo storico”. Mons. Bettazzi ha ripercorso le tappe principali del Concilio e ha tracciato il percorso compiuto dalla Chiesa negli anni successivi. Un percorso non privo di difficoltà e resistenze. Per questo a chi chiedeva la necessità di un nuovo Concilio, mons. Bettazzi ha risposto: “Non credo serva un nuovo Concilio perché dobbiamo ancora attuare quello passato e il rischio sarebbe di tornare indietro invece che andare avanti. Purtroppo, se guardiamo alla liturgia, al clericalismo ancora tanto c’è da fare. Fortunatamente però il Signore ci ha donato un Papa come Francesco che, pur non avendo vissuto i giorni del Concilio, lo sta mettendo in pratica”. Da qui l’auspicio che il cammino della Chiesa italiana verso il Sinodo possa portare frutti. “Papa Francesco aveva auspicato per la prima volta un Sinodo della Chiesa italiana già a Firenze nel 2015. Ora il tempo è maturo”.
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