Partecipata veglia “Morire di speranza” promossa dalla comunità di Sant’Egidio

Morire di speranza: alla veglia di preghiera, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio martedì 10 luglio nella chiesa di San Martino Urbano a Treviso, hanno partecipato le tante realtà che operano intorno al mondo dei rifugiati, istituzioni e cittadini, con lo scopo di mettere al centro coloro che continuano a morire nei viaggi della speranza. Dal 2013 a oggi sono oltre 17.000 le persone disperse di cui non si ha notizia, un dato sottostimato se si considerano i tanti che hanno perso la vita nei deserti, nelle prigioni e in mare senza aver lasciato traccia. Presenti alla preghiera anche rifugiati e profughi. Durante la veglia sono stati letti i nomi e le storie di quanti sono morti nel tentativo di raggiungere l’Europa. “Una memoria che deve farsi impegno affinché cresca una cultura di accoglienza e cessino le tragedie ai confini dell’Europa” è stato ribadito.
Il momento di preghiera è stato presieduto dal vicario generale della diocesi di Treviso, mons. Adriano Cevolotto, il quale ha sottolineato: “Ogni volta che presiedo questo momento di preghiera, un momento di «memoria sofferta», mi ripeto che le parole sono fuori luogo. Le parole, o meglio, le grida che dovremmo ascoltare sono quelle dei fratelli/sorelle che salgono, mute ormai, dalle acque del Mediterraneo, dal deserto, dalle strade che giungono a noi dall’oriente. Eppure abbiamo anche bisogno di una Parola. Per questo vorrei dar voce alla Parola di Gesù per evitare che alle tante parole di retorica propagandistica, che abbiamo sentito pronunciare in questo tempo, se ne aggiungono delle altre. Le nostre. Altrettanto retoriche. Nella scena del giudizio finale, che l’evangelista Matteo ci consegna, raccogliamo con chiarezza un’indicazione importante e inquietante insieme. Nella vita è decisivo da che parte stiamo, da che parte scegliamo di stare. C’è la parte dove si trova chi ha fame, chi ha sete, chi è straniero, nudo, malato o in carcere… e la parte della persona a cui è richiesto di dare cibo, acqua, accoglienza, cura, visita. Nel mare c’è la costa da cui si parte, o dalla quale si desidera farlo, e la sponda dove si approda. C’è una frontiera da oltrepassare, attraverso cui entrare e la stessa frontiera, dall’altra parte, è una frontiera da difendere. Proprio qui sta la differenza. Da quale parte stai? Da quale parte decidi di stare? Il tuo presente e il tuo futuro dipendono proprio da questa decisione”.
Gesù, da parte sua – ha proseguito nella riflessione mons. Cevolotto -, ha deciso da quale parte stare: “Forse ci può sorprendere il fatto che non lo troviamo dalla parte di chi, avendo, si fa generoso, di chi, potendo, si attiva a favore di chi è in necessità. Perché così ci farebbe ancora più convinti che si salva solo chi possiede, chi dispone. Invece Gesù sta dalla parte di chi continua ad avere fame e sete (oltre che di pane e di acqua anche di giustizia); dalla parte di chi chiede accoglienza, per poter essere sempre ospite; dalla parte di chi vive della cura premurosa dell’altro; dalla parte di chi, imprigionato dalle sue colpe e nelle sue debolezze, respira per la misericordia ricevuta. In questo modo Gesù rivela che la salvezza, che un domani non si ottiene con il potere, con le proprie forze,… né si assicura difendendolo. La salvezza è quel domani assicurato dalla presenza dell’altro, di cui hai veramente bisogno. Sempre”.
Quindi, non c’è domani, perché non c’è umanità, dove si fa il deserto eliminando l’altro dipinto come un nemico, un pericolo, un invasore. Al contrario c’è salvezza e domani perché c’è “l’altro da te”.
Quanto sono inquietanti allora le parole di coloro che stavano dall’altra parte: “Quando mai…?”. E’ il perenne e patetico tentativo di giustificarsi. Di scusarsi. E’ sempre e solo un drammatico alibi – ha ribadito il Vicario generale -. Alibi di chi continua a stare dall’altra parte dell’umano, dall’altra parte del mare, dall’altra parte della frontiera.
Alibi di chi spera che l’orizzonte non sia abitato di presenze che minacciano; alibi di chi opera perché non approdino al suo porto, alla sua costa mani, volti e cuori per i quali tu sei la speranza. “Quando mai…?” è l’alibi per chi non si riconosce come un sopravvissuto in quella comune ricerca di speranza e si permette di non versare una lacrima per chi si è gettato in mare per poter salvare se stesso, affogando così anche la propria speranza.