L’ultima messa domenicale – la sesta del tempo di Pasqua – prima del ritorno alle celebrazioni comunitarie il vescovo di Treviso, Michele Tomasi, ha voluto celebrarla nella chiesa del monastero di clausura dedicato alla Visitazione di Maria, a Treviso, ospite delle monache che custodiscono la reliquia del cuore di san Francesco di Sales. Una realtà di preghiera presente in città fin dal 1913. A concelebrare con lui il vicario generale, mons. Adriano Cevolotto e il direttore dell’ufficio diocesano di Pastorale della salute, mons. Antonio Guidolin.
Invitati dal Vescovo, hanno partecipato alla messa i referenti delle Ulss trevigiana e veneziane: Francesco Benazzi e Livio Dalla Barba, rispettivamente direttore generale e direttore sanitario dell’Ulss 2 Marca trevigiana, il direttore generale dell’Ulss 4 Veneto Orientale, Carlo Bramezza, il direttore sanitario dell’Ulss 3 Serenissima, Michele Tessarin, “rappresentanti del mondo della sanità: le aziende sanitarie, gli ospedali, i medici, gli infermieri, gli operatori socio-sanitari, tutti coloro che in molti modi lavorano per la difesa della salute di tutti i cittadini” ha detto il Vescovo, ringraziandoli della loro presenza e del loro impegno in questi mesi.
Nell’omelia mons. Tomasi ha ricordato che “la fede che ci è donata non ci risparmia le prove della vita, non ci regala facili soluzioni. L’esperienza dell’incontro con Gesù non ci mette al riparo dalle tempeste, ma nelle tempeste ci accompagna, ci consola e non ci abbandona mai. Quante volte, in questo periodo, in cui abbiamo dovuto in un modo o in un altro fare i conti con noi stessi, con la nostra vita e con la nostra fragilità abbiamo corso il rischio di arrivare a superare il limite di quanto siamo in grado di sopportare. Quante persone anche in questo nostro mondo – che nel complesso si sentiva certo di alcune fondamentali sicurezze – hanno dubitato o dubitano ancora di poter affrontare le sfide che la situazione ci pone. Quante ansie che tutti, chi più o chi meno, sono costretti a vivere e a subire. Quante parole ascoltiamo per cercare di trovare una guida, un orientamento, per capire anche solo, semplicemente, cosa fare domani”.
“Molte nostre attività, quasi ogni gesto che fino a poco tempo fa era naturale, scontato quasi, si sono interrotti, e abbiamo subito la fatica di fermarci, di capire cosa ci stesse succedendo. Poi la maggior parte di noi ha trasformato l’avvenimento in un compito, l’apparente destino in una responsabilità da assumere, per sé e per gli altri. E in questa nuova fase ora cerchiamo le parole, i gesti, le regole, le autorizzazioni – la parola magica al momento è: il protocollo – da seguire per tornare alle attività, per tornare a vivere”.
Attendiamo le indicazioni, certo, ma “non con ansia” ha ribadito il Vescovo. “E non aspettandoci da una qualunque misura politica, sociale o economica la risposta definitiva, che metta a posto la vita una volta per tutte. Piuttosto attendiamo le necessarie disposizioni come lo spazio di responsabilità e di prudenza – virtù pratica, attiva, coraggiosa! – in cui siamo chiamati a costruire un mondo di speranza autentica e anche un mondo di gioia. Gioia perché è possibile la guarigione, la liberazione, la vita. Gioia perché neppure la morte è l’ultima parola sull’esistenza”.
“Se riusciremo ad attingere alle fonti di questa speranza troveremo anche noi – oggi e domani – la gioia di essere amati, di amare, di prenderci davvero cura gli uni degli altri. Un passo alla volta. Così saremo comunità accogliente e sorprendente, capaci di gesti di grande generosità, di accoglienza vera, di perdono sincero, di prospettive autentiche e solidali di futuro. Saremo di nuovo interessanti, portatori di una Parola fatta di azioni concrete e di gesti di bene, ci verrà chiesto allora “di rendere ragione della speranza che è in noi” e saremo pronti a farlo “con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza”.
“Non esiste un modo solo per vivere tutto ciò. Credo che ce ne siano quasi tanti quante sono le persone, le famiglie, le situazioni differenti. Qui, oggi, ne vediamo rappresentati due – ha ricordato il Vescovo -, così differenti da non sembrare essere nello stesso orizzonte di esperienza. Ma ambedue animati dall’amore. Dallo stesso amore, che assume forme differenti per poter raggiungere tutti. Siamo nella chiesa di un monastero di clausura. Siamo ospiti di un gruppo di donne che, per amore di Dio, hanno scelto di vivere in una condizione molto simile a quella in cui siamo stati precipitati tutti assieme, in tutto il mondo: possiamo dire che vivono per libera scelta, una vita di “lockdown spirituale”… Donne che apparentemente sono le meno produttive del mondo, ma che per il mondo sono respiro fondamentale di libertà e gratuità. Che per il bene del mondo, di noi tutti, offrono tutto il loro tempo, che pregano e intercedono per tutti, che stanno davanti a Dio, affinché nessuno debba cedere all’ansia, alla disperazione, al senso di vuoto, alla paura del nulla. Abbiamo qui con noi i rappresentanti del mondo della sanità, di coloro che in molti modi lavorano per la difesa della salute di tutti i cittadini. Voi rappresentate il fronte dell’attività, generosa, senza sosta, professionale, competente, senza risparmio, che abbiamo imparato a conoscere e ad ammirare in questo lungo periodo e che adesso non dobbiamo rimettere nel dimenticatoio solo perché ci apprestiamo a ripartire. Il nostro grazie a tutti voi deve manifestarsi nel nostro continuare a rispettare le regole, ad essere prudenti e responsabili, a vivere in profondità il senso civico che abbiamo imparato di nuovo ad apprezzare. Anche questa è una forma di quella speranza che il Signore ci dona, è risposta concreta e reale al suo amore. “E la speranza, poi, non delude” (Rm 5,5)”.