Venerdì 3 febbraio la celebrazione di avvio del Cammino sinodale “Discepoli di Gesù verso un nuovo stile di Chiesa” ha riunito in Cattedrale tutti i membri del Cammino e anche altri fedeli, sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose e persone consacrate che hanno voluto riunirsi in preghiera per l’inzio di questo importante percorso. Ecco l’intervento del Vescovo Gianfranco Agostino:
“Carissimi, non potevamo dare avvio al nostro Cammino sinodale se non nell’ascolto della Parola e nella preghiera.
Non siamo un’azienda che mette mano alla sua riorganizzazione, dove decisive sarebbero alcune competenze di carattere progettuale. Siamo una Chiesa, comunità di discepoli del Signore, che si interroga su come essere maggiormente fedele a Lui e alla vocazione cristiana, su quale volto dare a questa Chiesa, su quali priorità deve assumere la missione; e allora diventa decisivo, prima di ogni altra cosa, il farci uditori attenti di quella Parola che ci fa comprendere ciò che da soli non potremmo mai riconoscere: chi è per noi e che cosa chiede a noi il Signore; chi siamo noi per Lui e che cosa ci consente di rispondere alla sua chiamata. E decisiva diventa l’invocazione allo Spirito, Colui che ci insegna ogni cosa e ci ricorda tutto ciò che Gesù ha detto ai suoi discepoli (cf. Gv 14,26).
Per questa nostra celebrazione abbiamo scelto anzitutto il testo dalla Prima Lettera di Paolo ai Tessalonicesi. L’Apostolo invia questa lettera a quella giovanissima comunità cristiana mentre si trova a Corinto: siamo circa vent’anni dopo la risurrezione e morte di Gesù; a Tessalonica egli era stato più o meno per un anno, tra il 48 e il 49. È un testo che leggiamo con particolare venerazione, perché si tratta del primo scritto del Nuovo Testamento.
Noi non siamo certo una piccola e giovane comunità cristiana come quella di Tessalonica. Siamo una Chiesa popolosa e antica: i battezzati della nostra Chiesa superano gli 800 mila; il Vangelo è giunto a noi nei primi secoli cristiani. Ma sentiamo che possiamo riconoscerci in quello che Paolo ricorda ai cristiani di Tessalonica; e dalle sue parole possiamo trarre coraggio anche per il nostro cammino.
Paolo dichiara di tenere «continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo» (1Tess 1,3). È difficile per noi poter dire quanta fede operosa, quanta laboriosa carità e quanta solida speranza in Gesù Cristo vengano vissute nella nostra Chiesa. Ma noi sappiamo che in questa Chiesa c’è fede, speranza e carità: nei cuori, nelle coscienze, nelle convinzioni, nelle opere, nella vita, nella testimonianza. Ne ringraziamo profondamente il Signore. È una realtà che ci consola, ci dà coraggio, ci spinge a lavorare, ci sollecita a mantenere vivi queste convinzioni, questi atteggiamenti e questi impegni cristiani.
«Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui» (1Tess 1,4). Se è vero che abbiamo compiuto, e tentiamo ogni giorno, forse non senza fatiche, di compiere l’opzione della fede, è vero anzitutto, ed è ancora più vero, che noi siamo chiamati da Dio. Sentiamo che la responsabilità della risposta è resa possibile e alimentata dal dono della sua chiamata, che è chiamata che nasce dall’amore e che ci chiede amore.
Certo, ci viene spontaneo domandarci: ma siamo una Chiesa che davvero, nel suo insieme, risponde alla chiamata? Che ne è di questi oltre 800 mila battezzati? Noi non rinunciamo a prendere atto dei tanti cambiamenti avvenuti in poco tempo nella nostra Chiesa, che ci fanno registrare, per esempio, un ridursi del numero dei praticanti o una certa difficoltà a trasmettere la fede; né mancano in noi domande che possono inquietarci guardando al futuro. Sappiamo tuttavia che il giudizio su chi è vicino o lontano dal Regno di Dio (cf. Mc 12,34), spetta solo al Signore. Cogliamo, in ogni caso, il forte invito che scaturisce ancora dalle parole ascoltate da Paolo: «Come Dio ci ha trovato degni di affidarci il Vangelo così noi lo annunciamo» (1Tess 2,4). Non vogliamo stancarci di conoscere e di far conoscere Gesù Cristo. Convinti che «ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale» (Evangelii gaudium n. 11).
L’episodio dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35) offre ulteriori spunti al nostro essere Chiesa oggi, al nostro Cammino Sinodale e alla nostra preghiera.
Che cosa può offrire in particolare all’Assemblea Diocesana, alle Assemblee Vicariali, alle nostre comunità cristiane? A me pare che ci aiuti a capire di che cosa abbiamo bisogno per essere veri “discepoli di Gesù, che rendono possibile un nuovo stile di Chiesa». Propongo alcuni semplici spunti.
- «Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro». Abbiamo bisogno di far sì che la nostra vita (personale e comunitaria) si lasci illuminare dalla parola di Gesù, con la certezza che Lui ci cammina accanto e ci libera dalle miopie e stoltezze del pensare “secondo gli uomini”. E ci dice anche che la Chiesa deve farsi fratello-sorella che cammina accanto, che si affianca alle solitudini, alle delusioni, alle speranze infrante, alle esistenze ferite, alle amarezze profonde di tante persone adulte.
- «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via?». Abbiamo bisogno di un cuore che arda al contatto con Cristo. Finché Gesù rimane poco più che un’ombra, una figura spenta, che non fa vibrare, che non suscita gioia, saremo comunità smorte e tristi. Dobbiamo favorire in ogni modo la conoscenza di Gesù, l’incontro con Lui, la possibilità di lasciarsi guidare da Lui nella comprensione del difficile mestiere di vivere.
- «Rimani con noi, perché si fa sera». Vogliamo che il nostro cammino di Chiesa, specie in questo tempo, sia accompagnato dalla preghiera, dall’invocazione. La preghiera diviene consapevolezza dei doni di Dio, esercizio necessario ed esplicito della fede, spazio indispensabile della relazione con il Signore, occasione di condivisione del credere.
- «Gli occhi si aprirono e lo riconobbero nello spezzare il Pane». Abbiamo bisogno di sperimentare in profondità, e anche di contagiare, la forza vitale, la gioia e la ricchezza della celebrazione dell’Eucarestia: momento irrinunciabile della vita delle comunità e dei singoli credenti.
- «Fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro». Abbiamo bisogno di comunità che vivono e crescono attorno al Risorto e in Lui trovano il senso più profondo di ogni dono della vita e la forza per ogni fatica della vita. Abbiamo bisogno di una Chiesa dalle relazioni vive, calde, cordiali, sincere, che rendono concreta la comunione e la carità. Una Chiesa più sinodale, capace di lasciarsi interrogare dal Vangelo e dalla storia e insieme rispondere alle esigenze della Vangelo e alle domande della storia.
- «Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via». Abbiamo bisogno di narrarci le opere di Dio nella nostra vita, di aiutarci reciprocamente a credere e a sperare. Ma abbiamo bisogno anche che i poveri e i marginali ci raccontino le loro storie, per riuscire a riconoscere in essi il Signore che continua a farsi vivo in mezzo in mezzo a noi, richiamandoci il primato dell’amore.
Per il nostro Cammino Sinodale abbiamo condensato tutto questo nell’obiettivo di promuovere un incontro vivo con Gesù Cristo che, in particolare, i cristiani adulti sono chiamati a vivere. Un obiettivo forse alto, anche presuntuoso, ma indispensabile, ci pare, in questo momento.
Ci disponiamo a perseguirlo con semplicità, umiltà, pazienza e perseveranza. Attuando, nei tempi che saranno necessari, quelle conversioni pastorali, che devono essere anzitutto conversione del cuore.
Io desidero ringraziare vivamente tutti voi, membri dell’Assemblea Sinodale Diocesana, per aver accettato di svolgere questo servizio. Spero che esso aiuti prima di tutto noi a sentirci parte viva di questa Chiesa amata dal Signore.
Naturalmente il grazie si estende anche ai membri delle 14 Assemblee Sinodali Vicariali. E un grazie tutto particolare va alla Commissione Sinodale, che sta ormai lavorando con assiduità da parecchio tempo.
Faccio mie, per concludere, le parole di Paolo ai Tessalonicesi: «Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi» (1Tess 3,12s.)”.