Una giornata diocesana della vita consacrata vissuta da lontano, ciascuna comunità religiosa nella propria casa, ma “in comunione tra di noi nel Signore”, come ha detto il vescovo Michele nella riflessione fatta insieme al vicario per la vita consacrata, mons. Giuseppe Rizzo, in un collegamento video che è stato trasmesso sabato 30 gennaio, al mattino, a tutte le comunità, che si sono raccolte per un tempo di ascolto della Parola di Dio e di adorazione eucaristica, guidati dal testo delle Beatitudini contenute nel vangelo di Matteo. Un “anticipo” della festa della Vita consacrata, la Candelora, che si celebra martedì 2 febbraio, festa della Presentazione del Signore.
Rivolgendosi ai consacrati e alle consacrate della nostra diocesi, il Vescovo ha ricordato il dono grande e la risorsa che la vita consacrata è per la Chiesa, persone e famiglie religiose che danno la testimonianza della centralità dell’amore di Dio.
Mons. Rizzo nel suo intervento ha fatto non soltanto sintesi, ma ha “distillato” – come ha sottolineato mons. Tomasi – una riflessione che è stata guidata “dalla linea di luce delle Beatitudini che il testo preparatorio a questo incontro aveva individuate come principio di interpretazione del limite che abbiamo sperimentato in questi 12 mesi, ma anche riconoscimento del dono con cui tale limite patito è stato retribuito dal Signore, come voi stessi testimoniate con la ricchezza delle riflessioni nate, e autenticate, nel cuore delle vostre comunità, e restituite ora all’intera comunità dei Consacrati ai quali va la gratitudine della Chiesa di Treviso, qui presente nella persona del suo Vescovo”.
Mons. Rizzo ha citato numerosi scritti delle comunità o di singoli religiosi, che hanno riflettuto su questo tempo alla luce della pagina delle Beatitudini, anche a partire dalla propria esperienza di malattia e di lutti, nella quale si sono scoperti “uguali agli altri”. “Quando il virus ci ha contagiato e ci ha isolato ci siamo ritrovate dalla parte di chi dipende dagli altri – ha scritto una comunità femminile -, affidate alla gratuità dell’assistenza, ai tempi e modi di intervento e di cura: vulnerabili alla pari di tutti… Sentiamo la necessità di approfondire il senso di precarietà dell’esistenza con la relativa domanda di ‘salvezza’ che emerge”.
“Abbiamo compreso che, mai come in questa situazione di emergenza, il mondo vicino e anche quello lontano da noi avevano bisogno di ascoltare dalla Chiesa una nuova beatitudine” ha sottolineato mons. Rizzo, che ha parlato della Vita consacrata come di una “evidente beatitudine della povertà, del nulla che si offre al Tutto”, con tanti doni che brillano “nella luce del sole delle vostre anime, delle fraternità religiose maschili e femminili, delle comunità parrocchiali; ma anche nelle scuole, negli ospedali, nelle Case di riposo, nei santuari, nel luogo di lavoro dei membri degli Istituti secolari e dell’Ordo Virginum e nel cuore della nostra Chiesa diocesana… dovunque è presente la Vita consacrata”.
Molte le testimonianze raccolte da mons. Rizzo che hanno messo in luce la grazia di un tempo recuperato e restituito alla vita comunitaria, alla vita interiore, alla ferialità, alla dimensione domestica della comunità da vivere come una casa… tutte dimensioni normalmente sacrificate alla somma dispersiva degli impegni. Nessuna visione moralistica o colpevolista sulla pandemia, ma una lettura profetica, provvidenziale, che spinge a riconoscere questo tempo, specie da parte di chi è impegnato con i giovani, non come una “sala d’aspetto”, ma come “un laboratorio, nel quale pensare e già sperimentare il futuro”.
Ecco che, valorizzando i silenzi di Giuseppe, il Sì di Maria e la dedizione di Gesù alla volontà di Dio, i consacrati possono essere per la chiesa diocesana tutta, per le parrocchie, per le istituzioni educative e caritative, donne e uomini di profezia, “nel rinnovato impegno, anzi, nel “voto”, di stare sempre dalla parte della vita e della speranza”.
La riflessione del Vescovo ha proposto una lettura sapienziale delle Beatitudini, “carta d’identità di Cristo”, che diviene “carta d’identità del cristiano”, alla luce di una meditazione che ne fa Papa Francesco nella sua Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo. “Questa chiamata alla santità accomuna davvero tutti, quale che sia lo stato di vita, e oggi la contempliamo da consacrati al Signore. È una chiamata bella, una chiamata a una vita buona, a una vita in pienezza, in particolare in questo tempo di difficoltà e di prova” ha ricordato il vescovo, che ha sottolineato che “raggiungere nella fedeltà a Dio, vivendo la sua Parola, il dono di sé è la vera beatitudine, la vera felicità”.
“La vita consacrata al Signore è segno, è sacramento di una disponibilità, che fa della povertà la precondizione per l’apertura massima possibile alla ricchezza di chi fa spazio alla Parola del Signore”. E assieme alla povertà di spirito c’è la mitezza, “perché i miti avranno in eredità la terra. La mitezza è il luogo in cui ci svuotiamo di noi stessi, ed è quindi sorella della povertà. Nella mitezza facciamo spazio agli altri – ha ricordato il Vescovo -. La mitezza è quello che Gesù praticava con i suoi discepoli. Essa ci consente di essere uguali agli altri, di sentirci tali, e di accettare le vicende della nostra vita nella comunione piena con quella dei fratelli e delle sorelle di questo nostro tempo. Anche di quelli che ci sembrano più lontani, i più distratti, forse anche di quelli ostili. La mitezza è accettare che non c’è un momento di dominio che determini la nostra relazione con gli altri. Ci insegna a lasciare agli altri la possibilità di esistere come sono e di trovare in noi dei compagni di strada, non dei giudici, ma dei consolatori. Non degli oppressori, ma dei sostegni e dei liberatori”.
Una beatitudine dalle risonanze speciali, in questo tempo, è certamente quella rivolta a coloro che sono nel pianto perché saranno consolati. “Consolazione che non è una debole o fragile parola, ma è la presenza di chi, essendosi fidato, può ridonare fiducia. Di chi è stato consolato e consola a sua volta, e può aprire spazi di bene, di speranza, e di vita. È la beatitudine delle lacrime”. “La fatica vissuta in questo nostro tempo – ha sottolineato mons. Tomasi -, per tante sofferenze e tanti lutti, può essere accolta solamente se facciamo spazio alla presenza di Dio e degli altri nella povertà, nella disponibilità della nostra vita, sapendo che non siamo noi il fondamento dell’esistenza. Che non siamo noi coloro che danno salvezza all’umanità, ma che posiamo essere testimoni, custodi degli spazi che si aprono alla presenza del Crocifisso Risorto e dello Spirito consolatore. Saper piangere con gli altri è allora un atteggiamento che in questo nostro tempo non ci fa aver fretta di trovare soluzioni efficaci ed efficienti, ma che permette a chi soffre di sapersi accolto, accompagnato ed amato. E questa è una grande testimonianza e una grande possibilità affidata a tutti coloro che vivono la vita consacrata come dono al Signore. Può essere un dono di presenza, di intercessione. Un dono di tempo. Può essere dono anche solo saper mostrare che si accetta questa nostra esistenza, sentendo in essa la presenza amante di Dio”.
La Vita consacrata può anche essere “voce di chi non ha voce”, di chi ha fame e sete della giustizia, di chi è bisognoso di misericordia, “perché la fame e la sete della giustizia ci rimettono in cammino, mostrano che questa nostra vita con Cristo, questo nostro abitare con lui fa spazio all’anelito al bene dell’umanità ferita, e lascia risuonare forte il grido dei poveri e il grido della terra. Ci permette di avere forza e coraggio per affrontare anche la lotta per la giustizia, affinché le condizioni di vita siano dignitose per tutti, perché nessuno venga calpestato, perché nessuno venga escluso o scartato” ha ricordato il Vescovo, che ha sottolineato come “giustizia e misericordia ci dicono che solo insieme ci salviamo, solo insieme arriviamo alla santità, solo insieme possiamo attraversare questo periodo di crisi”.
Per riflettere sulla purezza del cuore, “sul dono e sul carisma della vita casta” il Vescovo si è servito di una bellissima meditazione donata da Papa Francesco che contempla San Giuseppe, nella lettera Patris corde e riconosce, nel suo atteggiamento, “non la logica del sacrificio di sé ma la logica del dono di sé. Non frustrazione ma solo fiducia. Il persistente silenzio di San Giuseppe non contempla lamentele, ma sempre gesti concreti di fiducia”.
“La castità, dunque, diventa proprio in questo nostro tempo una modalità liberante e paradossalmente feconda nei rapporti, che ci permette di aprire spazi all’inedito, vie nuove alla relazione che troppo spesso in questo periodo è necessariamente e anche dolorosamente a distanza – ha ricordato il Vescovo -. Come riesco a sostituire la comunicazione e l’intensità del contatto fisico, del tocco dei corpi – che nella prospettiva della castità è comunque buona, ma che in questo periodo non è possibile – con forme che esprimano ugualmente l’intensità della relazione e dell’incontro che devono rimanere incarnati e corporei, perché sempre mediati dal nostro corpo, pur se in maniera differente? Come faccio cioè a farti sentire che ci sono, che mi interessi, che intendo prendermi cura di te? Come faccio ad abbracciare comunque tutta la tua esistenza, tutta la tua persona? La dimensione della castità mi permette di assumere la mia più autentica corporeità nella dimensione più radicale della gratuità. È un cammino di consapevolezza e di fantasia, di creatività. Ti dimostro che ci sono, accolgo che tu ci sei e lo facciamo insieme nella libertà e nella purezza”.
“In questa prospettiva poi potremo essere operatori di pace ed essere chiamati davvero figli di Dio – l’auspicio di mons. Tomasi -, nella costruzione della pace quotidiana all’interno delle nostre relazioni comunitarie, del mondo che ci circonda, fino alle grandi dimensioni della pace in tutto il mondo”.
“La meditazione delle Beatitudini potrebbe continuare – deve continuare – e diventare la nostra stessa vita, testimoniando a questo mondo che è bello essere conformati alla figura stessa di Gesù, essere piccoli, magari deboli, fragili, ma testimoni del suo amore. Ci potrà trasformare in persone che, anche senza accorgersene, sono trasformate dalla relazione con Lui e sono segno della bellezza della sua presenza in questo nostro mondo. Le fatiche di questo tempo – ha concluso il Vescovo – diventano davvero il luogo in cui possiamo far risuonare in noi la bellezza della presenza, dell’azione e dell’amore di Dio. Grazie ancora a tutti voi della vostra presenza qui, della vostra testimonianza, del vostro impegno, della vostra generosità. Camminiamo insieme sulle strade che il Signore vorrà prepararci, per essere davvero con lui beati”.
In allegato i testi di mons. Giuseppe Rizzo e del vescovo Michele. Nel canale YouTube della diocesi è disponibile il video con i due interventi