Una celebrazione davvero intensa quella che si è tenuta nel tempio di San Nicolò domenica sera, 13 marzo, la messa, presieduta dal Vescovo, per chiedere il dono della pace insieme a tutte le comunità dei migranti cattolici presenti in diocesi. Una celebrazione proposta proprio dal Consiglio pastorale di queste comunità, che hanno voluto far sentire la loro particolare vicinanza alla comunità ucraina, presente insieme al suo parroco, padre Ivan Ivaniv. A concelebrare anche gli altri sacerdoti che accompagnano spiritualmente le diverse comunità.
Don Bruno Baratto, direttore dell’ufficio per la Pastorale delle migrazioni, ha letto all’inizio della celebrazione il messaggio di vicinanza che tutte le comunità nei giorni scorsi hanno rivolto alla comunità ucraina, così duramente provata.
Il Vescovo Michele, nell’omelia, ha messo in luce il segno di umanità rappresentato dalla presenza di tante persone, “perché in ogni situazione di vita, se fondiamo la vita su Cristo, troviamo la vera amicizia e la vera solidarietà. E in particolare i fratelle e le sorelle che vengono da lontano sanno quanto ci sia bisogno di una presenza, anche silenziosa, e di una preghiera”. Quella preghiera che a tanti potrebbe sembrare inutile, ma che proprio nel Vangelo di questa seconda domenica di Quaresima si dimostra come il luogo di incontro con il Padre: “Mentre Gesù è in preghiera sul monte, in silenzio, in dialogo con suo Padre – ha ricordato il Vescovo – manifesta la bellezza e la profondità della sua divinità attraverso la sua stupenda umanità. Mentre inizia il suo cammino verso il dono di sé sulla croce, lì manifesta la sua piena divinità, la bellezza della sua vita; è trasfigurato, solo perché sa accettare fino in fondo di essere anche il volto sfigurato, senza splendore né bellezza”. “Il volto dell’uomo è davvero sfigurato – ha aggiunto mons. Tomasi – è sfigurata la giustizia, è sfigurato l’onore, quando per affrontare questioni politiche si usa la guerra, quando chi paga, per interessi più o meno nascosti o lontani, sono i bambini, gli anziani, i deboli, le famiglie separate, le prospettive di vita, davvero sfigurate”.
“Io non sono un politico – ha sottolineato il Vescovo -, ma so che c’è il peccato nel mondo, quel peccato che ha inchiodato il Signore sulla croce, quel peccato che martoria i popoli attaccati, i poveri dimenticati, i piccoli violati perché molti si comportano da nemici della croce di Cristo. Ma viene un giudizio – per me, per noi, per tutti -. E questo giudizio è adesso. E’ adesso che non solo l’onore, non solo l’umanità, ma la giustizia reclama un giudizio. Io non posso far altro che ripetere il grido di papa Francesco: in nome di Dio, fermate la guerra, le guerre, fermate l’inutile sofferenza che non porta nulla se non altro odio e altra violenza”. Ma ecco il significato profondo della preghiera per la pace: “Adesso essere in preghiera per la pace significa credere che il Signore, il crocifisso, lo sfigurato, ha vinto la morte ed è risorto, e significa credere che la preghiera è potente, ci unisce al Cielo e tra di noi, dona frutti di conversione, può toccare il cuore dei peccatori, il cuore di chi ha in mano le sorti della guerra, e il cuore di tutti noi che abbiamo in mano le sorti della pace, perché siamo chiamati noi a essere operatori di pace, per essere eredi del Regno, perché siamo figli di Dio”. Ecco, allora, l’invito a pregare anche perché, nell’impegno e nella lotta per la giustizia non si lasci spazio all’odio. “Non permettiamo al maligno di sfigurare il nostro volto, la nostra anima, il nostro cuore, con la cicatrice dell’odio – l’appello del Vescovo Michele -. Indignati, certamente, impegnati a chiedere giustizia e ad aiutare chi è nel bisogno e nella prova, certo, ma mai preda dell’odio. Perché Dio è il Dio della pace perché è amore, amore crocifisso, ma amore risorto”. Infine, l’invito del Vescovo, rivolto a ciascuno: “Viviamo la nostra vita come un’offerta gradita al Signore per il dono della pace. Rimaniamo saldi nel Signore, roccia di salvezza, fondamento di vita, e rimaniamo uniti tra di noi, nella solidarietà, operatori e operatrici di pace, tutti, nelle mani di Dio giusto, e perché giusto, misericordioso”.
Insieme al coro ucraino hanno animato la celebrazione anche il coro della parrocchia di San Nicolò e quello della comunità africana francofona.