Gioia grande nel tempio di San Nicolò, sabato 26 giugno, per l’ordinazione presbiterale di quattro giovani, studenti del nostro Seminario diocesano: don Mattia Agostini di Massanzago, don Matteo Bettiol di Casale sul Sile, don Riccardo Marchiori di Spinea e don Fabio Toscan di Padernello. Famigliari, amici e fedeli delle comunità di origine e di servizio hanno riempito – con le regole del distanziamento – il tempio e anche la chiesa Immacolata e la sala Longhin, collegate tramite schermi. E numerose sono state anche le persone collegate in diretta streaming sul canale YouTube della diocesi.
Molti i sacerdoti concelebranti con il vescovo Michele, che presiedeva la celebrazione con il rito di ordinazione. Nell’omelia mons. Tomasi ha offerto tre chiavi di interpretazione della scelta che i giovani stavano per suggellare: il presbiterato come profezia; il presbiterato come annuncio; il presbiterato come amore ricevuto e donato.
Il presbiterato come profezia: la vera e radicale libertà nell’obbedienza
“La vita del presbitero, poiché è risposta ad una vocazione, deve portare con sé questa dimensione profetica, che impariamo dal racconto della vocazione del profeta Geremia. È una voce che chiama, quella di Dio, e dona da sempre, da prima ancora del tempo, il senso profondo dell’esistenza, una voce che sgorga dal cuore stesso del Creatore, una voce che ci costituisce, che quasi si impone a noi, ma che allo stesso tempo definisce in maniera stupenda il posto nel mondo di ciascuno” ha spiegato il Vescovo. Non una costrizione, però, ma un’obbedienza vissuta nella libertà. Per riuscire a vivere questa dimensione “non occorre desiderare di essere profeti, anzi, è vero proprio il contrario: profezia è una vita che sente di non voler altro che fare la volontà del Padre, come propria volontà profonda, volontà amata e liberamente voluta”.
Il presbiterato come annuncio: la verità della vita e l’esperienza del limite
“L’annuncio della verità di Dio, delle esigenze del suo amore senza confini e senza condizioni, la fedeltà al suo cammino di croce e risurrezione chiederanno rettitudine, saldezza, affidabilità. In una società che è ormai molto più che liquida, indefinita, inafferrabile, la purezza dello sguardo e dell’intenzione vi riveleranno a tutti come saldi e affidabili. Siete – come noi tutti, del resto – figli del vostro tempo, certo, ed è questo un tempo da amare, da conoscere e poi da servire. Ricordate però sempre che ciò che fate, ciò che siete, è sempre al cospetto di un duplice mistero: siamo sempre al cospetto di Dio e della coscienza di ogni persona, sacrario inviolabile che va accompagnato, formato e servito con ogni cura e riverenza” ha detto il Vescovo ai quattro giovani, invitandoli a una sincerità e a un amore disinteressato e amichevole che diventano la “saldezza di cui questo nostro mondo ha tanto bisogno, e in esso in particolare le giovani generazioni. I giovani infatti, hanno un vero diritto di essere ascoltati, presi sul serio, accolti con quanto lo Spirito intende dire alla Chiesa per tramite loro. Hanno diritto a compagni di strada su cui contare davvero”. Una saldezza fondata “sulla vostra relazione viva con Dio” e non su progetti o capacità personali, accettando i propri limiti, perché “attraverso tale accettazione del limite si manifesta nella nostra esistenza l’amore di Dio: soltanto di questo abbiamo bisogno, solamente questo siamo chiamati ad annunciare e a testimoniare, solamente l’amore libera e salva, solamente l’amore rimane in eterno”.
Il presbiterato come amore ricevuto e donato
“Oggi non venite abilitati ad una professione” ha poi ricordato mons. Tomasi ai giovani ordinandi, “ma date forma di dono alla vostra libertà, libertà che è fondamento di ogni dignità. E questo diventa possibile solamente se la vostra esperienza si dipana all’interno della relazione di amore con Dio – esperienza al contempo di donazione piena e di amicizia – e se questa riesce a innestarsi vitale nella Chiesa, in quel luogo, in questo luogo storico concreto che Dio ha voluto pensando al bene dell’umanità intera”. Non un mestiere, dunque, né la disponibilità a degli incarichi è “il dono più grande che voi fate. L’esperienza radicale dell’amore che porta al dono di sé si realizza nella partecipazione al ministero di Pietro, attraverso la solidarietà ed il vincolo sacramentale con l’ordine episcopale, e nell’assunzione del vincolo «sacramentale di amicizia» con il Vescovo e con i presbiteri. All’interno di questo legame – e mai senza di esso – la vostra vita darà risposta alla domanda di Cristo a Pietro, rivolta ora a voi: Mi ami tu? Mi vuoi bene? Saprai essermi amico?”.
“Mediante l’imposizione delle mani diventeremo insieme – Vescovo e presbiteri e gli uni per gli altri -, garanti del dono che ci viene dal Signore, il dono di poter dare la vita, per Dio, per la Chiesa, per i fratelli e le sorelle, per il mondo intero – sul modello di Cristo buon pastore che dà la vita per le pecore -. A tutto questo voi direte ora il vostro sì. In questo atteggiamento vivrete il vostro ministero, ed esso sarà per voi il luogo della pienezza di vita, ed esperienza di libertà, di verità e di amore. Questo ufficio a voi affidato – ha concluso il Vescovo – è dono della grazia, è potenza del Vangelo, è servizio al Popolo santo di Dio, è sacramento di bene per il mondo intero. Qui ed oggi. E questa sarà la vostra via – la nostra via – verso la felicità”.
Al termine della celebrazione un lungo applauso ha accompagnato l’uscita dalla chiesa dei giovani sacerdoti e di tutti i concelebranti. L’appuntamento per i saluti e un momento conviviale con famigliari e amici si è svolto nel vicino campo sportivo del Seminario.